Di Fernando Uribe
Traduzione di Antonio Barbato e Marisa Carlomagno
L’unica via per ottenere un cambiamento reale e permanente dell’esperienza di vita, più elevati livelli di pace interiore, rispetto degli altri e dell’ambiente, buona salute, relazioni eccellenti di ogni tipo e benessere materiale, si trova nell’auto osservazione, metodologia che trae la sua origine dalla filosofia di Socrate il cui principio fondamentale era: “conosci te stesso”, frase scolpita nel marmo all’entrata dell’oracolo di Delfi, alla quale, successivamente, si aggiunse ” e conoscerai Dio”.
Altri affermano che la frase fosse: “e conoscerai il tuo Dio”. In ambedue i casi, tuttavia, il messaggio è estremamente indicativo.
Sentire è una meravigliosa qualità naturale del disegno divino che riguarda l’essere umano. Tuttavia, la maggior parte dei sentimenti e/o emozioni sono apprese tanto quanto il sistema mentale delle credenze. Solo mediante l’auto osservazione obiettiva possiamo riuscire a distinguere fra le emozioni negative auto prodotte e quelle che ci collegano, ci uniscono agli altri, a tutta la Creazione. Questa è la maniera con la quale apriamo il nostro cuore ad una espressione più elevata, più espansiva, più vitale.
Un discepolo chiese ad uno dei più grandi Sufi come avesse ottenuto la sua evidente capacità di auto percezione ed ebbe come risposta: “L’ho imparata osservando il mio gatto che dava la caccia ai topi”. L’auto osservazione è un esercizio abbastanza mentale a causa della condizione neutrale che richiede. Si cerca di creare un nuovo ente, che possiamo definire l’osservatore interno, un “altro” che osserva molto attentamente come si sviluppa, senza perdersi nessuna scena o dettaglio, il film della nostra vita come se fosse la vita di un altro, per poterlo fare con una modalità di accettazione.
Affinché sia efficace, l’auto osservazione deve evitare sia l’auto condanna (condannarsi non serve a niente), sia l’auto giustificazione (dare la colpa ad altri o ad altre cose, senza assumersi le proprie responsabilità). Solo così l’auto osservazione comincia ad essere obiettiva ed è di qualche utilità.
Bisogna anche fare esperienza che il processo di ampliamento della coscienza del sé può mutare dall’essere molto doloroso al molto divertente, e che questo dipende da noi stessi; dall’attitudine con la quale si affronta l’esercizio. Imparare a ridere di se stessi è di grande utilità. C’è chi si prende molto sul serio e crede che la cosa più importante sia l’ego. Prendersi gioco dell’ego lo uccide. Uccidete l’auto importanza che serve solo a metterci negli impicci. Alcuni maestri dicevano che se verso mezzogiorno non si era riso di noi stessi almeno una volta, si stava sprecando la giornata. Ridere di sé, inoltre, fa buona salute. Questo è accettato anche dalla scienza. Se la salute è un fatto di vitalità intesa come energia, non ha importanza di quali mezzi usiamo per ridere. Si ottengono così due importanti obiettivi contemporaneamente: colpire l’ego ed essere più vitali.
L’auto osservazione obiettiva non tiene in alcun conto ciò che si ritiene sia bene secondo l’adagio: “questo è peccato, questo no”, una caratteristica tanto radicata in società basate sulla condotta come la nostra, tanto preoccupate dello scioccante e controproducente “si dovrebbe”. Meno ancora lo è di atteggiamenti del tipo: “sii più attraente per essere accettato”. A causa di ciò si dice che l’auto osservazione deve essere non intenzionale. Bisogna fare molta attenzione nel non trasformare lo sforzo di liberarsi dalle trappole dell’ego nella ricerca per crearsi un super ego.
L’auto osservazione obiettiva non ha altra pretesa che essere. “una luce che brilla in una stanza oscura per rivelare la nostra presenza”. Osservarsi in questo modo produce una grande forza interiore che si può sviluppare solo mediante la pratica. Mediante lo sforzo ripetuto, costante e attento di vedere, sentire e percepire che cosa sta realmente accadendo dentro di sé e nelle relazioni con gli altri. Ciò in tutti gli ambiti relazionali: da quelli più intimi a quelli solo occasionali.
Questo è un altro aspetto nel quale l’Enneagramma può rivelarsi di valore immenso. Un buon modo per descrivere l’Enneagramma è quello di affermare che ciascun tipo usa un suo gruppo di schemi e astuzie abituali ed automatiche, per costruirsi degli stati emozionali che gli arrecano danno. Sapere ed accettare profondamente come ogni tipo dei nove possibili si comporta, significa sapere dove cominciare a ricercare le emozioni auto frustranti che ci catturano più rapidamente ed intensamente. Questa conoscenza può diventare il fattore detonante del proprio lavoro interiore e guidarci fino ad evitare al cuore esperienze che ci trascinano continuamente verso l’egocentrismo, prosciugano le nostre energie e ci isolano dagli altri, ma ciò solo se è messa in pratica nella vita di tutti i giorni.
Per comprendere questa lezione la cosa più importante è raggiungere la consapevolezza, nel senso di aver consapevolezza di sé e praticare un atteggiamento di auto osservazione, un ricordo di sé: esercizio già raccomandato ai discepoli della scuola pitagorica 2650 anni fa. Ottenuto ciò, bisogna passare ad un’accettazione profonda, tappa nella quale è normale vi sia una certa sofferenza. Una volta raggiunto questo livello, e per quanto riguarda certe cose potrebbero volerci anni, va compreso che finché un individuo continua a soffrire, non ha accettato ancora qualcosa della sua esperienza di vita individuale. Ad esempio, può non essere riuscito a consapevolizzare e continuare a considerare colpevole qualcuno o qualcosa fuori da sé, il che causa sofferenza al suo ego, perché l’Essere Reale non soffre. Successivamente viene la fase della riflessione, come, cioè, trasmettere questa massa di informazioni rese chiare, dalla testa al cuore, dopodiché segue il quarto passo che è quello della pacificazione o superamento di quello che all’inizio del percorso si auto osservò; essere pronti ad occuparsi dell’altro aspetto del sé auto osservato.
Il meraviglioso Enneagramma (per la parte descrittiva e che mette a nudo le nove forme dell’ego) è lo strumento che in questo processo aiuta di più di qualsiasi altra cosa di cui io abbia notizia…solo nella prima tappa. La cosa importante, inoltre, è che ci si impari a vedersi, non che si sia solo in grado di assegnare un numero a quanto si è osservato. La conoscenza dell’enneatipo aiuta, e molto, a rendere concreta la precedentemente assai vaga definizione dell’ego, come quella di un personaggio irreale ma tangibile. A dirigere l’attenzione verso il punto nel quale può trovarsi la radice delle nostre limitazioni.
Come una cartina stradale. Una mappa straordinaria ma, in ogni caso, solo una cartina. C’è qualcuno che preferisce una mappa al paesaggio? E se nel paesaggio compare un fiume non segnalato sulla cartina? Correggo la mappa o riempio il letto del fiume? Poiché questo è quello che facciamo finché restiamo a giocare compiaciuti con l’enneagramma. A questo livello è abituale vedere la pagliuzza nell’occhio dell’altro, piuttosto che la trave nel proprio. Con l’aggravante che durante il viaggio senza amore non posso nemmeno essere di aiuto alla persona della pagliuzza, perché quello che faccio è classificarlo con un numero e aggiungerlo come una farfalla ad una collezione…e questo se sono un buon enneagrammista.
Continuiamo…chiunque, ed anche questo sembra essere normale per tutti, può sentirsi agitato come un ramoscello in un turbine, quando si è accettato di vedere altro…a me è accaduto, e continua ad accadere, di vivere ciò che chi aveva più esperienza di me definiva effetto “panna”…Mi conosco e accetto i miei limiti e….quindi? Il tempo passa inesorabile ed io continuo a restare ” lo stesso con le stesse cose”….galleggiando nella panna…Robinson sulla sua isola…e nulla di nulla….fino a non nuotare più….
La riflessione equivale ad immergersi nel latte! Però ci vuole un’energia molto particolare che funga da bombola di ossigeno…Questa energia si chiama TU, l’unico rimedio per la malattia dell’ego…del tu ci da un esempio gratis il fenomeno dell’innamoramento… E poi, di carattere più duraturo ed incondizionato, l’amore filiale…Più ancora, l’unico vero TU SEMPRE vicino è: “Non io, ma solo tu o Signore”.
Non c’è alternativa. Nel tuo cuore c’è spazio per uno solo: per Dio o per il tuo ego.
Ritorniamo sempre allo stesso punto. La crescita della coscienza, unico proposito reale della vita umana, è un apprendimento psico spirituale. Non si può essere spirituali se si è nevrotici e tutto quello che si percepisce ci giunge velato dall’ego. E tantomeno ci si libera dalla nevrosi senza un ingrediente spirituale adeguato in qualità e QUANTITA’.