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La mia esperienza con l’Enneagramma nella Tradizione Narrativa

La mia esperienza con l’Enneagramma nella Tradizione Narrativa

Luca Brun

Antonio mi aveva chiesto di scrivere un articolo specifico sulla scuola denominata l’ennegramma secondo la tradizione narrativa, dato che ho ottenuto la certificazione come insegnante. Quello che leggerete più sotto è, in definitiva, più simile ad un racconto della mia esperienza con l’enneagramma in generale. Andiamo, comunque a cominciare…….

Fu nell’Agosto del 2005 in California che mi iscrissi alla prima delle quattro tappe da compiere per ottenere la certificazione di insegnante di Enneagramma secondo la Tradizione Narrativa, ovvero la scuola di Helen Palmer e David Daniels.

Avevo già incontrato l’enneagramma sul web circa un anno prima e mi aveva molto incuriosito. Avevo anche fatto un breve test per scoprire il mio enneatipo, ma il risultato non mi convinceva poiché non mi riconoscevo nella descrizione del tipo. Così lo rifeci un altro paio di volte, con risultati sempre diversi e sempre poco convincenti.

Giunsi, pertanto, alla conclusione che si trattasse di cosa poco seria.

Qualche mese dopo conversando con un amico formatore. che sapevo interessarsi anche all’enneagramma, tirai fuori l’argomento e lui, ritenendomi un esperto, mi chiese se il mese successivo fossi andato a Dublino per una conferenza di Helen Palmer.

“Helen chi?” Chiesi io. “Quella dell’ennegramma”, mi rispose.

Di lì a qualche giorno mi misi alla ricerca su Amazon di libri che parlassero della materia, ma non ricordavo più il nome di quella donna. A posteriori mi chiedo perché cercassi solo tra i libri in inglese. Forse pensavo a qualcosa di strano e sconosciuto.

Alla fine, comunque, rintracciai il nome giusto e acquistai due libri di Helen Palmer.

I libri comunque riposarono sulle mensole della mia libreria per diversi mesi, fino a quando non partii per la California, dove andai per altri motivi. Una volta lì mi chiesi: “Perché non approfittarne e fare un corso?” E poi la sede del corso di Helen Palmer era a 80 km da dove ero io.

Al momento dell’iscrizione mi chiesero di che enneatipo fossi e io, che non ne avevo idea, risposi che non ero sicuro. Per fortuna la cosa non era determinante e mi accolsero lo stesso.

Sede del corso era Menlo Park, una cittadina di 30.000 abitanti, a 4 km da Palo Alto e dalla famosa università di Stanford, una zona di benestanti in piena Silicon Valley, vicino alle sedi di aziende come Apple, Hewlett Packard e tanti altri grandi nomi dell’informatica.

Eravamo ospiti di un istituto per esercizi spirituali di chiara matrice cattolica, il cui nome “Villombrosa” mi faceva sentire un po’ a casa.

C’è da dire che, nel frattempo, ero riuscito a leggere quasi per intero il primo libro di Helen Palmer, “Enneagram”, dapprima in aeroporto a Venezia, in attesa di imbarcarmi per gli USA, e poi tutte le sere prima di dormire, e, leggendo capitolo dopo capitolo le descrizioni analitiche dei tipi avevo scoperto finalmente, e senza alcun dubbio, di essere un tipo Cinque!

A Villombrosa, nel far conoscenza con altri partecipanti, notai che subito dopo il nome mi veniva chiesto:”Di che tipo sei?”

Scoprii in seguito che questa era un’abitudine di tutti i corsi o incontri di enneagramma. La gente ricorda molto più facilmente il tuo enneatipo piuttosto che il tuo nome e, “Di che tipo sei?” è una delle prime domande, anzi forse la prima, se non fosse per il timore di sembrare maleducati.

Nella sala piuttosto grande dove si tenevano le lezioni le sedie erano disposte a cerchio e io fui tra i primi a prendere posto. Subito dopo alla mia sinistra si sedette una donna non giovanissima che sorridendomi si presentò: ”Ciao, mi chiamo Helen e sono un tipo Sei”. Mi sembrava una faccia già vista e in quel momento mi resi conto che era proprio lei, Helen Palmer!

“Ah, io mi chiamo Luca e ho appena scoperto, leggendo il tuo libro, di essere un tipo Cinque” risposi.

Ero contento di essere l’unico italiano del gruppo di una cinquantina di persone, nel qualche c’era anche qualche altro europeo, tra cui una donna, un pastore luterano di Amburgo, due olandesi e due francesi. L’età media non era delle più basse tanto che io, pur avendo già più di 40 anni, mi consideravo nella parte giovane del gruppo.

Un gruppo abbastanza eterogeneo e anche internazionale che, oltre agli europei di cui sopra, comprendeva anche una brasiliana insegnante di enneagramma, quattro australiani, un gruppetto di psichiatri thailandesi e un gay venezuelano che viveva a san Francisco. E tra gli americani un professore di antropologia in pensione dell’Oregon con mamma piacentina che, insieme a un ex avvocato democratico dell’Arizona, erano molto anti Bush, una suora della Carolina del Sud, una ex hippie degli anni sessanta esperta di buddismo, alcuni psicoterapeuti e counselor della east coast, qualche casalinga del midwest e altra umanità mista.

Dopo le presentazioni individuali il cerchio si ruppe e ci si dispose in maniera più accademica. Helen Palmer rimase con noi solo il primo giorno, ma in compenso vi era un valido gruppo di insegnanti tra i quali David Daniels, psichiatra in pensione dell’università di Stanford, Peter O’Hanrahan, responsabile della didattica e dell’organizzazione e Terry Saracino, da poco trasferitasi dall’Arizona alla California.

Come detto a quel tempo sapevo poco di enneagramma e non avevo mai sentito parlare di tradizione narrativa, espressione che sentii ripetere svariate volte durante la settimana, senza comprenderne realmente il significato se non alla fine.

Con quella espressione si intende, infatti, il far narrare alle persone le loro esperienze, ponendo delle domande rilevanti dal punto di vista dell’enneagramma in modo che ne escano gli schemi caratteristici dell’enneatipo.

I momenti più importanti erano infatti questi “panels” ( gruppetti mediamente di 3-4 persone dello stesso tipo), ai quali l’insegnante/intervistatore poneva domande relative a qualche punto forte o debole dell’enneatipo e al come queste persone si mettessero in relazione a queste tematiche. Solitamente gli intervistati rispondevano uno alla volta alla stessa domanda, ma a volte l’intervistatore sollecitava la persona a spiegare meglio certe affermazioni, oppure chiedeva conferme o riscontri agli altri componenti del panel.

Il panel ha una durata di circa 40 minuti ai quali seguono altri minuti di commenti da parte degli intervistati.

Nei primi giorni i panels venivano anche condotti da studenti che stavano per ottenere la certificazione sotto la supervisione di un insegnante. Questi studenti stavano cioè partecipando alla quarta e ultima tappa di questo processo, con il quale avrebbero ottenuto la certificazione di insegnanti secondo la tradizione narrativa. In pratica rifacevano la prima parte di questo EPTP (Enneagram Professional Training Program), nella quale questa volta avevano anche un ruolo attivo di conduttori di alcuni panels.

Le risposte degli intervistati erano piuttosto ricche, nel senso che le persone tendevano ad aprirsi molto e a confessare parecchio di sé, rivelando spesso aspetti dolorosi delle proprie vite, anche cose che fino a pochi minuti prima nemmeno si sognavano di raccontare.

Durante le interviste di alcuni enneatipi vi erano in particolare scene emozionanti con pianti, singhiozzi etc. ed anche a me, nell’ascoltare questi racconti, è capitato di versare qualche lacrima di commozione. Io, solitamente distaccato rispetto alle umane sofferenze, venivo travolto da questo vortice emotivo? Beh, si, ma solo nell’ascoltare le sofferenze altrui, non certo quando ero io l’intervistato; lì mi comportai proprio da Cinque che mantiene la freddezza mettendo una certa distanza tra sé e le proprie emozioni. Forse anche il mio inglese, non proprio da madrelingua, contribuiva a creare questa distanza emotiva.

Non tutto, comunque, si riduceva a questi panels. Prima di essi si passavano alcuni minuti in meditazione e si ascoltavano delle registrazioni in cui Helen Palmer descriveva l’enneatipo oggetto del panel e in seguito l’insegnante forniva ulteriori informazioni.

Ho trovato quelle descrizioni di Helen molto approfondite e puntuali: mi sembrava che cogliessero veramente nel segno, come il bisturi del chirurgo che sa esattamente dove incidere. Senza essere fredde o asettiche, erano semplicemente profonde e acute.

Si facevano anche esercizi a coppie su temi relativi ai vari enneatipi, in cui una persona poneva una domanda e ascoltava semplicemente la risposta dell’altro per un paio di minuti e poi si invertivano i ruoli. Altri esercizi si facevano tra persone dello stesso enneatipo. Questo era molto bello, perché si veniva a creare una forma di cameratismo con le altre persone del proprio enneatipo. A distanza di oltre quattro anni sono ancora oggi in contatto con un paio di persone del mio gruppo dei Cinque e, a dire il vero, anche con persone di vari tipi.

Ogni giorno nel primo pomeriggio si facevano degli esercizi fisici in cui tutto il gruppo camminava in modo diverso per la sala, oppure si facevano alcuni movimenti a coppie.

Le giornate erano piuttosto intense e piene: si cominciava alle 9 di mattina fino a dopo le 9 di sera, con intervalli per pranzo e cena. A fine giornata ci si intratteneva in gruppetti che si erano formati in maniera spontanea, oppure si usciva per quattro chiacchiere al bar.

L’ultima sera grande spettacolo di cabaret in cui molti avevano ruoli attivi in scenette inventate dai partecipanti. E poi grande festa con banchetto finale.

Che dire alla fine della settimana?

Avevo acquisito una conoscenza di base piuttosto buona dell’enneagramma, conoscevo di più me stesso e potevo tornare a casa soddisfatto di quest’esperienza e di tutto quello che avevo imparato.

Tornato a casa l’entusiasmo mi portò a nuove letture sul tema e a parlarne con gli amici. Notavo che c’era parecchia curiosità al punto che trascorrevo interi dopocena a illustrare i Nove tipi. Una mia amica che conosceva l’enneagramma solo in base ai miei racconti, aveva addirittura raggiunto un acume tale che al cinema le capitava di chiedermi:” Che dici? Quel personaggio ha molto del tipo Quattro!” E ci azzeccava pure.

Coll’approssimarsi dell’estate 2006 decisi di tornare in California per la seconda parte dell’Enneagram Professional Training Program (EPTP).

C’era anche un altro posto dove volevo andare in California: Esalen. Un posto leggendario sulla costa selvaggia e disabitata di Big Sur, frequentato negli anni 60 da personaggi famosi dell’età d’oro della controcultura californiana, figli dei fiori e non solo. Così decisi di trascorrere una settimana là prima di andare a Menlo Park.

Appresi un paio d’anni dopo che ad Esalen Claudio Naranjo diede le primi lezioni di Enneagramma in California. Oggi Esalen ha perso molto del suo fascino originale ed è diventato un posto frequentato da molti, anche alla ricerca solo di un po’ di pace. Posto comunque sempre bellissimo, annidato sulle rocce sopra l’oceano Pacifico, dove si poteva trascorrere il tempo sdraiati nelle vasche di acqua calda termale, sia di giorno sotto il sole che di notte sotto le stelle, sempre completamente nudi, pur non essendo questo obbligatorio.

Certo, dopo una settimana trascorsa così, fu un po’ duro rientrare nel clima di Vallombrosa, in quella sala non propriamente luminosa che già conoscevo; un “déjà vu” per me.

Arrivai anche in ritardo, dopo una lunga corsa in macchina da Big Sur e, proiettato quasi all’improvviso nella sala, vidi solo pochi volti noti a parte Helen Palmer che stava parlando.

Del gruppo dell’anno prima c’erano, infatti, solo i due francesi e una donna californiana.

Il gruppo era un po’ più piccolo, ma sempre composto da quell’amalgama di umanità varia, simile all’anno precedente. Di spalle notai una donna con un foulard colorato che le copriva il capo; era una giovane psicologa iraniana di 28 anni e il foulard era il “Chador”, divenuto famoso in seguito alla rivoluzione islamica di Khomeini del 1979. Questa giovane donna indossava un chador diverso al giorno, ma per il resto vestiva molto all’occidentale, indossando spesso jeans e solitamente truccata in maniera evidente.

La sensazione di essere improvvisamente piombato in quella sala quasi da un altro pianeta si accentuò un’ora più tardi, quando si cominciò con i panels ed il primo era proprio quello dei tipi Cinque. La Palmer cominciò gentilmente, rallegrandosi di rivedermi e dicendomi che mi vedeva in forma e migliorato rispetto a un anno prima, ma alla prima domanda “Che cos’è per te l’avarizia?” Ci fu da parte mia un lunghissimo silenzio prima di rispondere e alla fine diedi una risposta piuttosto banale, quasi preconfezionata.

Il corso era tenuto nella prima metà esclusivamente da Helen Palmer che trattava delle fondamenta spirituali, facendo diversi riferimenti storici e religiosi. La seconda parte era più di tipo pratico-dinamico: nella sostanza si imparava a condurre le interviste, soprattutto quelle per la determinazione del tipo.

All’inizio eravamo solo spettatori di interviste tenute da David Daniels o Peter O’Hanrahan, poi, un po’ alla volta, venivamo più coinvolti fino ad arrivare a condurre noi le interviste in gruppetti di tre persone, sempre sotto la supervisione di un insegnante.

Questo modo di fare enneagramma, denominato come tradizione narrativa, ha bisogno di un certo numero di volontari disponibili a farsi intervistare, sia per questi “typing interviews” sia per i panels, laddove non ci sia un numero sufficiente di partecipanti di qualche enneatipo.

Il numero di volontari era piuttosto alto, solitamente ex studenti e insegnanti residenti nella zona della baia di San Francisco o nella Silicon Valley.

Mi diede parecchia soddisfazione scoprire che ero diventato piuttosto bravo nel determinare il tipo delle persone tramite queste interviste. Nelle interviste che facemmo verso la fine in gruppetti di tre, le mie due compagne erano la psicologa iraniana e un’americana di circa cinquant’anni, formatrice aziendale e coach. Il nostro supervisore era Peter O’Hanrahan.

In questo tipo di intervista si fa un giro di domande in cui si toccano tematiche relative a tutti i nove tipi, dando uno spazio simile in termini di tempo per ogni enneatipo e alla fine si comunica all’intervistato a quale tipo si ritiene lui o lei appartenga.

Nella prima delle due interviste che dovevamo fare toccava a me porre le ultime serie di domande relative ai tipi Otto, Cinque e Sette e comunicare l’esito finale alla persona. Questi, un uomo sulla cinquantina, sportivo, aperto, disponibile e dai molteplici interessi, fin dalle prime risposte mi era sembrato un tipo Sette e ne ebbi la conferma quando alle mie domande finali, soprattutto a quella su come affrontava la sofferenza, rispose in un modo che non lasciava alcun dubbio: era ovviamente un Sette! Prima di dare l’esito all’intervistato mi consultai con le mie due colleghe che, con mio stupore, non erano d’accordo con me. La formatrice/coach mi disse: “Tu sei sicuro che lui sia un Sette, vero? Io credo invece che sia un Sei contro fobico: hai notato con che occhi scrutava la camera prima dell’inizio?” All’intervistato dissi che non eravamo arrivati a una decisione comune, che due di noi pensavano lui fosse un tipo Sei e il terzo lo riteneva un tipo Sette, descrivendo sinteticamente i due tipi. Peter concluse l’intervista affermando che era d’accordo con me e spiegando i motivi che portavano a considerare questa persona un enneatipo Sette.

Sono forse troppo auto celebrativo se affermo che quella fu proprio una bella soddisfazione??

Tornato a casa dopo questa seconda esperienza cominciai ad applicare queste conoscenze alla mia attività “amatoriale” di coaching. Alle mie clienti volontarie chiedevo se erano interessate a sottoporsi a un’intervista per determinare il loro enneatipo. Ho trovato utile l’uso dell’enneagramma nel coaching in quanto permette alle persone di capire molte cose di se stesse. Per capire dove vuoi arrivare è estremamente importante sapere dove sei ora.

Una mia cliente capì alcune cose di sé che all’inizio faceva un po’ fatica ad accettare. All’inizio addirittura rifiutava di essere il tipo Sei che io avevo indicato, ma un mese più tardi riconobbe certe sue motivazioni e le si accese per così dire una lampadina, provocando quello che nel coaching viene chiamato uno “switch”, cioè un rapido cambiamento di prospettiva che ti fa vedere le cose in maniera diversa.

Alla fine delle interviste della tradizione narrativa non viene, comunque, indicato in maniera perentoria che la persona appartiene a un determinato enneatipo, ma viene piuttosto suggerita una probabilità; anzi di solito vengono indicati due enneatipi come probabili. Sta sempre alla persona intervistata decidere e riconoscersi nell’enneatipo.

Conclusa la seconda parte ero ora pronto a iniziare la terza, che non consisteva nel frequentare altri corsi ma nel fare un “intership”, cioè una serie di prove pratiche, un numero di interviste individuali e di gruppo (sempre i cosiddetti “panels”) sotto la guida di un supervisore o mentore.

Si trattava di fare 10 interviste individuali (typing interviews) e 2 di gruppo, video riprenderle e mandarle al supervisore per discuterle in sessioni in cui egli avrebbe espresso le sue osservazioni.

All’interno della scuola non c’era nessun supervisore italiano però, per mia fortuna, c’era un francese che parlava italiano. Altrimenti avrei dovuto fare tutte le interviste in inglese.

La relazione con il mio supervisore francese procedette molto lentamente: passarono mesi solo per scambiarsi un paio di email, poi ci furono problemi tecnici con la telecamera e quando finalmente feci la mia prima intervista video erano trascorsi oltre sei mesi.

E poi ancora molti mesi. Risultato finale: dovetti trovarmi un nuovo supervisore e questa volta non c’era davvero nessuno che parlasse italiano.

Per motivi di fuso orario decisi di sceglierne uno europeo e non americano e, data la mia simpatia per l’Irlanda, esaminai la lista di supervisori irlandesi e scelsi Margaret O’Rorke. Non sapevo chi fosse ma mi piaceva il nome e poi era un tipo Cinque come me.

Certo adesso dovevo fare tutte le interviste in inglese, però Peter O’Hanrahan mi venne incontro e decise che potevo fare anche solo Cinque interviste in inglese con il supervisore.

La prima fu con un’amica italiana che parlava un ottimo inglese. Non ero del tutto sicuro alla fine se lei fosse un Quattro o un Sei ma andò piuttosto bene. Le difficoltà sperimentate, che avrei dovuto affrontare anche nelle successive interviste, erano essenzialmente di due tipi: stare nei tempi previsti e interrompere le persone che parlavano tanto.

I tempi previsti erano di non oltre 50 minuti complessivi e il tempo da dedicare a ognuno dei Nove tipi doveva essere simile (3-5 minuti). Ecco, stare nei tempi era per me una cosa non solo difficile, ma che mi provocava anche una certa tensione. Tensione che io avvertivo e che anche Margaret mi fece notare.

Le altre regole da seguire erano le stesse che avevo già sperimentato nella seconda parte dell’EPTP a Villombrosa. Eravamo noi stessi a creare una lista di domande (3-4 per tipo) poste in un certo ordine. Ci veniva suggerito di seguire l’ordine delle frecce (3-6-9 1-4-2 8-5-7)

Io, alla fine dell’intervista, descrivevo i probabili enneatipi della persona intervistata e consegnavo un foglio con una presentazione sintetica dell’enneagramma e dei Nove tipi. Se la persona era interessata a un approfondimento le mandavo alcune indicazioni di letture e links a siti web.

Nel frattempo cominciai a seguire l’enneagramma anche al di fuori della tradizione narrativa. Una persona ancora verso la fine del 2006 mi chiese:”Perché non segui l’enneagramma anche in Italia?”

Fu così che cominciai a frequentare qualche seminario in Italia; il primo tuttavia fu di un’insegnante americana Andrea Isaacs. Un fine settimana in un convento vicino a Lucca organizzato dall’ Associazione Italiana Enneagramma (A.I.E.), presieduta da Arnaldo Pangrazzi, un padre camilliano.

Tra le varie persone presenti conobbi una coppia di Vicenza, la mia città, che mi invitò a partecipare a incontri di gruppo che si tenevano là un sabato al mese, tra persone che volevano approfondire la conoscenza dell’enneagramma, animati da Aldo De Toni, un prete che faceva parte del circuito di insegnanti dell’AIE.

Tramite Peter O’Hanrahan conobbi Maura, una donna di Genova, profonda conoscitrice della materia, che mi introdusse a un’altra associazione, l’Ass.I.S.E. (Associazione Italiana Studi Enneagramma) presieduta da Antonio Barbato, un funzionario di banca di Napoli innamorato dell’enneagramma e dato che Antonio teneva dei corsi anche a Firenze decisi di partecipare.

Rimasi colpito dal come la materia venisse trattata in maniera profonda ad un livello davvero avanzato. Antonio era proprio uno “studioso”… e pensare che lo faceva solo per passione, senza scopi di lucro! Un conoscitore che aveva pubblicato anche diversi articoli sullo “Enneagram Monthly”, la più famosa rivista mondiale del settore.Da allora cominciai a seguire i seminari di Antonio, due o tre volte all’anno, dapprima a Firenze e poi in Umbria.

Seguii poi altri seminari di insegnanti internazionali di un certo “calibro” come Tom Condon e Russ Hudson. Questo per dire che l’enneagramma è diventato una presenza stabile nella mia vita. E anche una compagnia gradevole.

Ancora oggi continuo a frequentare, pur se in maniera discontinua, gli incontri mensili di Aldo De Toni e anche se sono solitamente un tipo poco loquace, quando si tratta di enneagramma divento quasi logorroico.

Tornando alla tradizione narrativa, l’internship procedeva, magari lentamente, ma procedeva. Cominciai a intervistare inglesi e americani, dato che Margaret preferiva persone di madrelingua inglese, poiché l’esprimersi in una seconda lingua rappresenta una specie di filtro e si perde in immediatezza e spontaneità. Erano per lo più persone che conoscevo appena e il compito si faceva anche più impegnativo. Così, però, si mettono meglio a prova le capacità dell’intervistatore e…. quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare

Dopo ogni intervista mandavo un dvd dell’intervista a Margaret e si faceva una sessione di 40 minuti circa tramite Skype. Lei mi rimproverava di cose di cui io ero già consapevole, così come gli apprezzamenti.

Oltre alle interviste individuali avrei dovuto condurre anche due “panels”, cioè le interviste di gruppo. Ho usato il condizionale in quanto organizzare un panel in inglese era cosa piuttosto ardua. Bisognava trovare 3-4 persone dello stesso enneatipo che parlassero inglese e avessero una buona conoscenza dell’enneagramma. Peter comunque, che era stato molto comprensivo, fin dall’inizio mi disse di lasciar perdere.

Dovevo però far pratica nella conduzione di panel in quanto nella quarta e ultima parte dell’EPTP il lavoro principale di noi “certificandi” era proprio la conduzione di due panels a testa. Riuscii, comunque, a organizzare un panel con l’aiuto di Aldo De Toni durante uno di questi incontri mensili al sabato pomeriggio. Gli intervistati erano quattro tipi Tre, Aldo e altre tre persone che avevano una buona conoscenza dell’enneagramma.

Il risultato fu soddisfacente come prima volta. Al solito facevo fatica a interrompere chi si dilungava nelle risposte, ma per il resto mi sono trovato piuttosto a mio agio nella conduzione.

Era arrivato così il momento del quarto e ultimo passaggio, quello della certificazione.

Erano passati ben tre anni dall’estate 2006 e questa volta non dovevo volare fino in California, dato che potevo fare l’ultimo step in Europa. Dopo che venne a saltare la possibilità di farlo a Dublino, città a me molto cara, nel Ottobre 2009 si è finalmente riusciti a organizzare il corso a Bristol.

Ero molto contento di tornare in Inghilterra dopo molti anni di assenza e appena rimisi il piede lì non ne rimasi deluso. L’Inghilterra era ancora affascinante come la ricordavo. E ora che conoscevo l’enneagramma ed ero nella nazione simbolo di noi tipi Cinque, che chiedere di più?

Potevo sopportare anche le due ore di ritardo del volo Easyjet.

Sede del corso era Emmaus House, un’antica casa residenziale a Clifden, un vecchio ed elegante borgo sulla collina sopra la città. Il nome della casa mi ricordava qualcosa di religioso, dato che era il nome di una città della Palestina, ma non vi erano simboli religiosi. Più tardi venni a sapere che il luogo faceva parte di una qualche organizzazione cattolica ma era aperta a corsi, seminari e incontri, tutte attività non religiose.

C’era Peter O’Hanrahan ma purtroppo mancava David Daniels, che era stato bloccato in dogana e rispedito a casa in quanto provvisto solo del visto turistico e non di quello lavorativo. Lo sostituiva Mary Cowan, insegnante di Londra, un tipo Sei dai modi molto gentili.

Si cominciò subito di mattina dopo aver incontrato gli altri “certificandi”, e in tutto eravamo in otto. Il resto dei partecipanti avrebbe cominciato il pomeriggio.

La prima prova fu l’intervista individuale. Sotto la supervisione di Mary avrei condotto una prima intervista e in una seconda avrei fatto l’osservatore. La mia intervistata era una donna di circa 60 anni, insegnante di enneagramma e tra le organizzatrici del corso. Cominciai in maniera titubante, con risposte piuttosto succinte alle quali non cercavo maggiori chiarimenti, perché non mi sentivo a mio agio con la lingua. Gradualmente, però, il gelo si sciolse ed io entrai perfettamente “in partita”. Le mie domande diventarono più incisive e fui facilitato anche dai termini usati nelle risposte, praticamente da manuale di enneagramma. A una domanda su tematiche del tipo Sei, ad esempio, mi fu risposto:”…Eh, ho spesso dubbi su me stessa”.

Mi stava suggerendo che era proprio un tipo 6 e quindi il mio responso fu scontato.

Dopo le congratulazioni di Mary, dovevo solo ascoltare la mia collega, una donna prete in pensione, vicario della chiesa di Inghilterra: un tipo Nove pacifico e sorridente. L’intervistata, invece, era una piccola e minuta donna di oltre 60 anni, che venni a sapere essere una suora cattolica in pensione. Nessun dubbio per me: non poteva che essere un tipo Uno. La mia collega alla fine mise come prima possibilità il tipo Uno e come alternativa il tipo Sei. La suora, che già conosceva l’enneagramma, alla fine risponde che si, per molto tempo era stata convinta di essere un Uno ma che negli ultimi tempi riteneva di essere un Tre. Nonostante le mie perplessità non dissi nulla.

Solo più tardi raccontai l’episodio a tavola durante il pranzo e Peter disse:”Chi? Sister Margareth un tipo Tre? Ma se è arrivata tutta agitata perché era qualche minuto in ritardo!”

Credo questo sia un problema generale perché di continuo si incontrano persone che dopo anni ancora si identificano in un tipo errato. Anche in Italia mi è capitato di incontrarne diverse.

Dopo queste esperienze il corso vero e proprio cominciò. Gli altri partecipanti erano tutti inglesi, irlandesi, scozzesi più due americane che abitano in Inghilterra. L’unica non di madre lingua è una giovane donna rumena, ma di etnia ungherese, con un nome simpatico per noi italiani: Imola.

Vedevo che per la conduzione dei panels i miei colleghi certificandi si erano preparati una lista di domande scritte che leggevano spesso dal foglio durante la conduzione.

Io decisi invece andare avanti senza niente di scritto: avevo alcune domande in mente e poi avrei deciso in base alle risposte.

Mi capitò di condurre un panel con i tipi Uno e un altro con i Sette. Risultati buoni, per Peter addirittura eccellenti. A posteriori so comunque che avrei potuto fare meglio.

Dopo i primi tre giorni, a me e agli altri sette colleghi viene consegnato il diploma: ora siamo ufficialmente insegnanti certificati di Enneagramma secondo la Tradizione Narrativa! Peter addirittura chiama David Daniels al telefono, che dopo lo sfortunato episodio è dovuto tornare a casa in California e ognuno di noi parla con David che con i suoi modi amichevoli ha una parola carina per ognuno.

La sera si andò tutti al pub a festeggiare e fu simpatico uscire dopo giorni di lavoro intenso anche dopo cena e di totale clausura.

Il resto del corso fu per me meno interessante, perché già vissuto nel 2005 a Villombrosa in California. Rispetto a quattro anni prima i racconti, le lacrime e gli psicodrammi personali mi coinvolsero meno. Mi rilassai perché era pur sempre gradevole stare in quell’ambiente e parlare con le persone: mi sentivo in vacanza. Alla fine ero addirittura più riposato di quando ero arrivato.

L’ultima sera grande festa dove noi “nuovi” insegnanti mettemmo in scena alcune scenette divertenti, tutte aventi con tema i nove tipi. E poi canti, bevute, etc. fino a tarda notte.

L’ultimo giorno saltai anche un’ora di lezione per fare una passeggiata e dare un’occhiata dal ponte alla città di Bristol.

Ecco, la mia settimana inglese era finita e io sono ora un insegnante secondo la tradizione narrativa. Nel ritorno in aereo penso che sto tornando al luogo d’inizio, l’aeroporto di Venezia, dove nell’agosto del 2005 cominciò la grande avventura.

Lì lessi le prime righe. Cos’è? Un cerchio che si chiude?

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