di Fabio Constantini
Faccio lo psicologo clinico dal 1995 e lo scopo principale del mio lavoro è quello di fornire ai pazienti uno strumento che permetta loro una reale auto conoscenza, qualcosa che vada al di là della comprensione del sintomo specifico che li porta a me.
Grande è la curiosità umana che ho riscontrato nel cercare di scoprire la tipologia di personalità dominante, e grande, anche, l’esigenza di avere una teoria di riferimento.
Fra le tante possibilità ricordo la tipologia ippocratica (che suddivide i tipi in linfatico, biliare, sanguigno, nervoso), quella bionergetica (schizoide, orale, psicopatico, masochista, rigido), quella junghiana (introverso o estroverso, suddivisibile in logico, sentimentale, sensoriale, intuitivo); quella emozionale (collerico, passionale, nervoso, sentimentale, sanguigno, flemmatico, amorfo, apatico), la tipologia astrologica caldea, quella psicosintetica, quella cinese, quella taoista etc.
Aldilà della tipologia usata, sembra certo che riconoscere il proprio modo di essere in una classificazione ha sempre facilitato la consapevolezza nel lavoro di trasformazione personale.
Una volta individuato e affrontato il problema specifico, che determina lo stato di malessere del paziente, io stimolo alla conoscenza dei meccanismi alla base del proprio comportamento, trasferendo l’attenzione dal sintomo manifesto al suo significato più profondo.
Nel corso degli anni ho avuto buoni riscontri utilizzando il concetto di spinta comportamentale della Analisi Transazionale e quello delle sub-personalità della Psicosintesi.
Conosciuto l’EdP ho subito capito che poteva essere un potente strumento di cambiamento e di approfondimento, grazie anche alla descrizione particolareggiata delle diverse tipologie di personalità. Ho così riguardato il mio archivio storico, rileggendo in chiave di passione e fissazione dominanti le cartelle dei miei pazienti.
Il quadro clinico appariva di una chiarezza estrema. Gli elementi portanti della classificazione tipologica (passione, fissazione, meccanismo di difesa, alibi, immagine di sè, idealizzazioni, evitamenti) corrispondevano creando un “insieme organizzato”.
Ho voluto trasmettere queste informazioni ad alcune persone con le quali stavo lavorando.
Ho deciso come prima cosa, sfruttando la grande curiosità umana a cui prima ho accennato, di presentare un riassunto veramente molto breve di tutti e nove gli enneatipi (quello della Palmer a pag. 45 di Enneagramma o quello di Naranjo a pag. 52 di Carattere e Nevrosi), chiedendo naturalmente di identificarsi in uno o due di essi. In questa fase io non sono mai intervenuto per indirizzare la scelta verso una tipologia specifica. Una volta che veniva individuata dal paziente la traccia, ho fornito un materiale più approfondito, consegnando delle fotocopie tratte dalla Palmer o da Rohr, dove veniva spiegato l’enneatipo individuato e ho chiesto alla persona di sottolineare con due colori diversi quello che riteneva appartenergli e quello invece che non lo riguardava.
Quando mi sono state restituite le fotocopie sottolineate, ho analizzato insieme all’interessato le informazioni che emergevano e, da quel momento, ho cominciato ad intervenire attivamente approfondendo i motivi che avevano spinto ad accettare alcuni passaggi e altri no.
E’ successo allora che alcune identificazioni fatte dalle persone si sono verificate esatte, mentre altre sono state riviste, analizzando con lo stesso metodo altre possibilità. Una volta giunti con reciproca soddisfazione ad un’unica risposta, ho cominciato a fornire del materiale introduttivo e semplice su che cosa sia l’Enneagramma (cenni storici, come funziona).
Riporto ora le testimonianze di alcune persone che si sono dimostrate disponibili a condividere questa loro esperienza (in corso d’opera, nel senso che il lavoro è attualmente ancora in atto).
Uomo Tipo Uno di 43 anni, single, agente di commercio, diversi corsi di formazione alla spalle : “Lo strumento enneagramma, che lei mi ha fatto conoscere, si è rivelato importante per vari aspetti vissuti in prima persona. La rimappatura mi ha dato modo di confrontarmi con varie situazioni sociali con una maggiore tranquillità, mentre il prevedere con anticipo le reazioni del mio interlocutore mi ha dato la serenità di chi ha una mossa di vantaggio sull’avversario. La conoscenza dei vari enneatipi, e il conseguente lavoro di trasformazione per potersi “affrancare” dai comportamenti disfunzionali, mi ha aiutato a vedere il mio prossimo più vicino e più fratello, o che comunque, visto che sono figlio unico, posso dire che è sicuramente aumentata la mia tolleranza..! “
Donna Tipo Uno, 38 anni, separata, senza figli, infermiera professionale:
“Ho iniziato a leggere un testo sull’enneagramma (NdR Rorh) e non lo ho sentito come un trattato di psicologia, in cui generalmente i comportamenti vengono descritti e trattati quasi come “patologia”. Nell’Enneagramma ho trovato una descrizione delle tipologie-personalità come “normali” e in queste tutti troviamo posto. Non mi sono sentita analizzata e “malata”, e questo ha rassicurato il mio senso di inadeguatezza e di inferiorità nei confronti degli altri rafforzando il mio senso di appartenenza al mondo. Tutti siamo sulla stessa linea di partenza nel cammino verso il centro, con la possibilità e la capacità di evolvere pur partendo da diversi punti con diverse caratteristiche e limiti su cui lavorare.
Ho utilizzato quella parte dell’Enneagramma che mi è stata proposta come lettura-lavoro ed ho potuto fare una analisi di me stessa con serenità, senza grossa partecipazione emotiva, in quanto non analizzavo direttamente i miei comportamenti ma potevo, o meno, riconoscerli nella descrizione. Ho apprezzato la chiarezza di esposizione e la possibilità di valutazione dei vari stadi della tipologia descritta, che mi hanno permesso di verificare l’evoluzione di certi miei aspetti nel tempo. Aver avuto le prove che c’era stata una evoluzione, un senso di crescita, mi ha aiutata ad approfondire con più serenità gli aspetti che non erano ancora maturi. Dopo la lettura è stato più facile trasportare su di me i vari aspetti. E’ stato importante. Riuscire a comprendere più a fondo il comportamento degli altri mi ha aiutato ad essere più tollerante nei loro confronti, a gestire i rapporti con meno conflitto ed a entrare in relazione più a fondo. A questo punto nonostante la fatica il lavoro diventa anche affascinante.”
Uomo Tipo Tre, 40 anni, in via di separazione, due figli, attualmente rappresentante:
“Considero l’Enneagramma un mezzo e uno strumento utile, efficace, ma soprattutto pratico, utilizzabile e applicabile nella vita quotidiana. Ha significato per me un’alternativa più veloce di auto conoscenza rispetto ai metodi tradizionali. Le domande che mi ponevo e a cui volevo dare delle risposte erano del tipo : -Voglio lavorare su di me ma dove inizio ? – Perché ripeto sempre gli stessi errori ? – Perché non riesco anche se…?. Volevo trovare una traccia da dove cominciare a lavorare e l’ho trovata.”
Uomo Tipo Sei, 54, separato con nuova compagna, una figlia, operatore ecologico:
“Mi sono avvicinato all’Enneagramma all’inizio in modo alquanto scettico, per il fatto che dopo i vari sistemi psicologici presi in considerazione quest’ultimo mi è sembrato qualcosa di meno interessante, ma ho dovuto subito ricredermi. Quando ho cominciato a leggere le dispense e le spiegazioni teorico pratiche mi sono riconosciuto in modo quasi totale nella personalità del 6, con una buona influenza del 5. Come è proprio del mio carattere ora mi trovo completamente coinvolto in questo studio della personalità; è chiaro che tutto ciò mi dà nuove speranze per capire sempre di più a fondo il mio essere e le radici delle mie paranoie. Penso di dare fiducia a ciò su cui sto lavorando, perché mi ha fatto comprendere qualcosa di più della mia infanzia e delle motivazioni del mio essere oggi. Spero di poter arrivare al miglioramento e allo sviluppo del mio carattere nel modo migliore. Secondo il mio modesto parere da profano, è un sistema che permette di andare a fondo nella propria interiorità, ed è grazie ad esso che ho rimosso delle paure e sto lavorando su alcune paranoie che solo da poco ho cominciato a riconoscere per quello che sono. Approfondendo questa teoria ho potuto constatare la reale connessione tra la mia tipologia Sei con le mie ali e i collegamenti con le direzioni di integrazione e di stress. Sono convinto che questa esperienza intrapresa da poco possa portare con il tempo dovuto ad un percorso di piena integrazione nella mia crescita personale e spirituale.”.
Donna Tipo Cinque, single, infermiera professionale, 22 anni :
“Sono venuta a conoscenza dell’enneagramma quando ho iniziato le sedute dallo psicologo. Ero una persona molto diversa rispetto ad ora, con molti dubbi, molte incertezze, e molta confusione riguardo a me stessa. Questo metodo di studio della personalità mi ha incuriosito e interessato fin dall’inizio, tanto che oltre alle discussioni durante le sedute mi sono anche documentata personalmente a casa. Finalmente potevo cominciare a capire qualcosa di me con un certo criterio! Aver visto che si possono definire le personalità secondo uno schema, ma che allo stesso tempo ci possono essere tante sfaccettature per ogni tipo, è stato incoraggiante perché non mi sono sentita più una persona fuori del mondo, come pensavo di essere ! La ricerca della mia tipologia è stata una esperienza molto stimolante, sono emerse delle caratteristiche latenti che non pensavo di avere, sia positive che negative. Diciamo che me le sono ritrovate davanti in maniera più chiara ed estesa. C’è stato un momento in cui avrei voluto cambiare personalità ! Non mi sono ritrovata proprio in tutti i punti, ma molti li ho riconosciuti come “miei”. Nel tempo ho cominciato ad osservarmi di più e quindi a rendermi conto del mio modo di reagire alle diverse situazioni; a come nei momenti “ no” tendessi a vedere particolarmente grigio e desiderassi la fuga, come mi comportavo con le persone a seconda dell‘umore, come potessi essere piacevole quando stavo bene. Scoprire la mia tipologia è stata la spinta per prendere la decisione verso cui muovermi per evolvere. Ho capito di appartenere alla categoria di persone del centro della testa e nel tempo me ne sono resa conto sempre di più. Mente, corpo e cuore devono essere equilibrati per vivere bene, ma come è difficile da raggiungere questo traguardo! Non ci volevo credere ma alla fine mi è toccato accettarlo, il mio problema è con le emozioni. Come riconoscerle? Come viverle pienamente con il cuore, anziché stare tanto a pensarci su? Il problema non era solo mio, naturalmente, ma si ripercuoteva anche sugli altri che non sapevano come prendermi. Ho capito così prima di tutto di aver ferito molte persone, poi che ero una persona molto difficile da trattare. Nel tempo è stato possibile trasformare alcune caratteristiche volgendole a mio favore e svilupparne altre. La razionalità e il distacco, ad esempio, possono essere ottimi alleati per capire la situazione in modo imparziale, evitando risentimenti, litigi o illusioni; l’indipendenza va vista nel senso pratico, anziché come rifiuto assoluto dell’aiuto o della presenza di altri non cercata; la curiosità favorisce la predisposizione all’apprendimento. Mi sento parecchio cambiata: sono meno rigida e più socievole. Ho imparato a concedermi degli spazi ogni tanto, a parlare di me più di quanto facessi prima. Trovo la metodologia dell’EdP molto utile per se stessi, ma anche per guardare gli altri. Personalmente, ho cercato di mettermi nei loro panni più volte. Sinceramente non so dire con precisione a che punto del percorso potrei essere arrivata, so di sicuro che non è breve, ma per ora si è rivelato positivo.”
Donna Tipo Quattro, separata e risposata con tre figli, massaggiatrice shiatzu, 47 anni :
“La prima volta che ho risposto al questionario dell’EdP, con molta velocità e sincerità (almeno così credevo), il punteggio maggiore indicava il numero Sei, tuttavia quando seppi che era un test dell’ennegramma e che esisteva un libro, lo comprai alla prima occasione e cominciai a leggerlo. Ogni volta che incontravo le caratteristiche del Quattro sentivo un rifiuto verso quel numero, ed ero contenta di essere un Sei: mi piaceva di più avere a che fare con la paura e il coraggio, piuttosto che con l’invidia e l’empatia. Presa dall’entusiasmo, volli scoprire in che numero rientravano i miei familiari. Così feci fare i questionari e mi colpì molto che il papà era un Sei, la mamma un Cinque, poiché spesso mi veniva detto: “Sei come tuo padre” e tutto quadrava. Ma col tempo cominciai a sentire che qualcosa non mi convinceva, e che quando parlavo con lo psicologo più che la paura, emergevano l’insicurezza, lo scoraggiamento e la gelosia. Rifeci il questionario e questa volta la maggioranza assoluta delle risposte risultò nel numero Quattro. Mentre rispondevo mi chiedevo come avevo fatto ad avere un punteggio così basso la prima volta, visto che ogni domanda rispecchiava palesemente il mio modo di essere e di affrontare le situazioni. Da molti anni avevo l’impressione di aver provato un senso di abbandono esagerato rispetto al vissuto reale. E’ vero che i miei lavoravano con i turni ed io ero affidata costantemente alla nonna, che quando tornavano a casa li sentivo sempre litigare, che mio padre era molto severo, mia mamma spesso depressa e piena di paure e che sottilmente fuggiva al ruolo di donna di casa (d’altronde la scelta di sposarsi non era stata libera, ma forzata dagli eventi visto che a 17 anni era rimasta incinta e all’epoca questo costituiva una grande vergogna). Tuttavia, quando mi guardavo intorno notavo storie ben più drammatiche, madri ammazzate da mariti gelosi, figli orfani o bambini violentati in casa. In seguito, grazie al lavoro portato avanti con lo psicologo, ho trovato un po’ di pace arrivando alla consapevolezza che tutto dipendeva dalla mia sensibilità emotiva, che trasformare un buco nero in una voragine senza uscita è spesso causa di molte inutili sofferenze per noi e per chi ci circonda. La famiglia dove sono nata non era tanto diversa da tante altre famiglie della media borghesia di quell’epoca: molta severità, poco ascolto e dialogo, un interesse prioritario per la vita materiale tutta orientata alla conquista di agiatezza. Ma non tutti i figli che sono vissuti in tali situazioni si sono arrabbiati, ribellati, scappati di casa e finiti in carcere in preda a uno squilibrio emotivo che mi faceva provare tanto dolore per una ferita vissuta come profonda. Prima di scoprire i meccanismi del tipo Quattro credevo di aver vissuto una vita piena e di aver sperimentato molto, ora vedo che in molte occasioni mi sono rovinata la vita per non aver fatto libere scelte, consapevoli, ma per aver reagito in base a sentimenti così intensi che facevano i padroni di casa. Ciclicamente provavo, ora raramente, un senso di inadeguatezza e di imbarazzo. Quando ero in un gruppo e non riuscivo ad essere al centro dell’attenzione, piano piano mi mettevo in disparte e, cominciando ad osservare gli altri, immancabilmente li vedevo migliori di me. Chi si era pienamente realizzato nella vita (felice della sua azienda e della sua famiglia), chi era riuscito ad esprimere il suo senso artistico, chi era sicuro di sé stesso e poteva stare lì ad ascoltare un altro per ore con disinvoltura, e alla fine, come di consueto, arrivava la sentenza interiore: avevo sbagliato tutto nella vita e non ero riuscita a realizzare niente di valido. Lì cominciava una dolorosa sofferenza che aumentava, se tentavo di parlare con qualcuno e questa persona non mi sentiva, come se fossi invisibile. Alla fine fuggivo dalla situazione andando via o rifugiandomi in una altra stanza. Nel mio intimo il sentimento di invidia era catalogato tra i peggiori che si possono provare e di cui vergognarsi. Sono riuscita a cambiare idea quando mi è stato spiegato che in video significa guardarsi dentro e non trovare ciò che si vede fuori, che tutto nasce da un senso di mancanza e di inferiorità che si ottiene paragonandosi agli altri o, di contro, dal desiderio di sentirsi sempre bravi, all’altezza di ogni situazione, senza mai sbagliare e possibilmente speciali! Invidio tanto le persone semplici e ottimiste, che si accontentano e ringraziano di continuo per quello che hanno, mentre io alterno momenti di soddisfazione per il lavoro che faccio a momenti di frustrazione, accompagnati dalla sensazione di non aver costruito niente di stabile o importante, ma di vivere una routine quotidiana fatta di lavori domestici, di tassista per i figli e con sentimenti di inutilità per gli altri. In questi momenti mi sembra di dover mettere in campo tutto il coraggio che ho per andare avanti, mentre la tristezza profonda può prendere piede e allora, per reagire, devo mettermi a pulire casa o andare da una amica e camminare. In tutti questi anni un punto si è alleggerito: la paura del rifiuto e dell’abbandono. Nel passato sentivo un dolore così profondo da tenermi su a piangere tutta la notte, se il mio compagno stava fuori o se una persona non mi salutava, offrendomi l’occasione di sentirmi invisibile e di poco conto. A distanza di tempo ho compreso che potevano esserci ragioni diverse da quella del rifiuto dietro a un mancato saluto, come, ad esempio, essere poco presenti o pensare ad altro, ma, per convincermi fino in fondo, ho dovuto fare dei sondaggi. Ho chiesto, quindi, direttamente spiegazioni alle persone interessate e attrici di questo fantomatico dramma dal titolo “il mancato saluto o la schivata”. E’ curioso come la maggior parte delle persone a cui ho confidato queste mie difficoltà, si stupiscono della intensità della mia sofferenza e la reputano eccessiva rispetto all’evento. Per la maggioranza delle persone il comportamento degli altri non è motivo di destabilizzazione, e, ovviamente, solo un altro Quattro mi comprende e mi dice di vivere gli stessi meccanismi.”