L’esistenza in italiano della parola Accidia, dal greco Achedia non curarsi, permette di esprimere l’essenza di questa passione molto meglio di quanto si possa fare con l’uso dell’altrettanto adoperato Ozio o Pigrizia. Nel tipo Nove c’è certamente una forma di pigrizia, ma questa più che un non agire assume spesso le vesti di un’inerzia psico esistenziale, un affaccendarsi in mille cose di nessuna importanza, un fare sempre quello che è chiesto dagli altri, un non voler operare distinzioni fra ciò che è essenziale e ciò che ha poca importanza. Gli scrittori cristiani classici conoscevano bene questa passione, da loro spesso denominata come il Demone di Mezzogiorno o dell’Ora Sesta, facendo riferimento all’orario canonico che i monaci dovevano osservare. Ecco come la descrive con grande acume psicologico Evagrio Pontico, un monaco anacoreta del quarto secolo che è stato il primo a fornire una descrizione accurata delle passioni da lui viste come veri e propri demoni tentatori, nel suo libro I Diversi Spiriti della Malvagità. “L’occhio dell’accidioso è continuamente fisso alle finestre, e nella sua mente fantastica su possibili visitatori: la porta cigola e quello salta fuori; sente una voce e spia dalla finestra, e non se n’allontana, finché non è costretto a sedersi, tutto intorpidito. Quando legge, l’accidioso sbadiglia spesso, ed è facilmente vinto dal sonno, si stropiccia gli occhi, si sfrega le mani, e, ritirando gli occhi dal libro, fissa il muro; poi di nuovo rivolgendoli al libro, legge ancora un poco, poi, spiegando le pagine, le gira, conta i fogli, calcola i fascicoli, biasima la scrittura e la decorazione; infine, chinata la testa, vi pone sotto il libro, si addormenta di un sonno leggero, finché la fame non lo risveglia e lo spinge ad occuparsi dei suoi bisogni” . Quali caratteristiche dell’Accidia ricaviamo dal brano di Evagrio? In primo luogo una tendenza a distrarsi facilmente, poi una ricerca di contatto un po’ superficiale con le altre persone, un rifiuto per cose troppo elaborate che sono viste come “artificiose”, un’incapacità a stare fisicamente fermi (ricordiamo che il Nove appartiene, infatti, al centro dell’azione), un torpore esistenziale che trova svago in una forma di curiosità ed infine un facile “accomodamento” alle situazioni teso a non crearsi troppi problemi. Gli aspetti centrali di questa passione sembrano, quindi, essere quelli di cercare di sfuggire a se stessi e di non volere confrontarsi realmente con eventuali problemi. La strategia attuata a livello inconscio per realizzare questi scopi può includere alternativamente sia il sonno, sia una strutturazione esasperata del proprio tempo, mediante un affaccendarsi in tantissime cose di poca o nessun’importanza. L’accidioso, pertanto, è tipicamente accomodante e sempre pronto a prendersi il carico di lavoro più pesante (anche se questo gli costa, in ogni modo, non poco in termini di fatica), pur di non dover fermarsi a riflettere sulle cose che fa. In definitiva siamo davanti ad una posizione psichica che non lascia spazio alle esigenze profonde della persona, che accetta di subordinare se stessa alle esigenze del partner, della famiglia o, più in generale, del gruppo cui appartiene. Da questo punto di vista il Nove può essere facilmente confuso con il Due, che attua un analogo atteggiamento, anche perché ambedue i tipi ritengono di “poterne fare a meno”. Nel Nove, però, manca l’aspetto del dare per avere ed è presente, invece, una forma di passività psicologica che esprime la negazione inconscia della propria rabbia. Le forme più tipiche con le quali i Nove esprimono la propria rabbia repressa sono, in realtà, la testardaggine e la dimenticanza delle persone e delle situazioni problematiche. Un altro aspetto tipico è quello di giustificarsi, se il rapporto o la situazione non vanno bene, dicendo: non è colpa mia, io non ho fatto niente. In tutta la letteratura dell’Enneagramma, il Nove è considerato il tipo che meglio esprime al livello spirituale la reale condizione umana; la passione nella quale la sottile differenza che esiste fra una coscienza che dimentica delle cose del mondo va verso il trascendente, e un ego che dimentico di se stesso si perde nel mondo del materiale, trova la sua espressione più evidente. L’Accidia è così tecnicamente vista come la passione centrale. Non c’è in quest’espressione un giudizio di valore (anche se il proverbio popolare afferma che l’ozio è il padre dei vizi), poiché tutte le passioni sono ritenute equivalenti, ma solo l’affermazione che nell’Accidia è più evidente l’aspetto “caricaturale” che hanno le passioni rispetto alle virtù corrispondenti.
Il senso pratico e il facile accomodamento alle cose del mondo del tipo Nove, appaiono evidenti nella figura di Sancho Panza, l’immortale scudiero dell’Ingegnoso don Chisciotte della Mancia (un tipo Sei con una fortissima ala Sette), che a differenza del suo più che idealista padrone, espone con queste parole alla moglie, che gli chiede conto del suo comportamento, quale sia per lui il senso reale dell’andare dietro a don Chisciotte: E’ vero che la maggior parte delle avventure non riescono come si vorrebbe, perché di cento novantanove vanno a finire a rovescio; nondimeno è una bella cosa attraversare montagne, penetrare nelle foreste, calpestare i precipizi, visitare i castelli e soprattutto, alloggiare in osterie senza pagare un solo quattrino. Sancho nominato per burla governatore della cosiddetta isola Barattaria mostra nei giudizi buon senso e discernimento, ma posto di fronte ad un’immaginaria invasione nemica, non esita, quando l’apparente pericolo è passato, a spogliarsi di tutte le sue cariche e riprendere con semplicità il suo ruolo originario. Ecco le parole che il Cervantes mette con finezza psicologica in bocca al nostro eroe, mentre barda ed abbraccia il suo asinello: da quando ti ho abbandonato compagno mio, amico mio, per salire sulle torri dell’ambizione e della superbia, mille miserie, mille travagli e quattromila smanie penetrarono dentro il mio cuore…Bene sta san Pietro a Roma; e voglio dire che ognuno sta bene nell’ufficio per il quale è nato; meglio sta a me una sega in mano che uno scettro di governatore. Meglio satollarmi di pane molle, con olio, aceto e sale, che stare soggetto alla miseria di un medico impertinente che mi faccia morire di fame; voglio piuttosto starmene nell’estate sotto l’ombra di un faggio e coprirmi di sacco nell’inverno, ma in piena libertà, che dormire in continuo affanno, avvolto in lenzuola d’Olanda e vestito di pellicce. Quando gli chiedono di cambiare parere, Sancho replica, da tipico Nove, che una volta che lui ha risposto no ad una proposta, non c’è cosa al mondo che lo indurrebbe a cambiare parere. Infine, nel momento in cui i suoi burlatori gli chiedono per celia che cosa egli voglia per compenso della sua opera di governatore, Sancho risponde con la semplicità e il non pretendere molto del Nove, che non vuole altro che un po’ di biada per il suo asino e mezza forma di pane e cacio per sé. Alla fine conclude il Cervantes, tutti lo abbracciarono, e a tutti ricambiò l’abbraccio, lasciandoli edificati dei suoi detti e delle sue sentenze, non meno che della sua risoluta e discreta determinazione. La stessa attitudine minimalista e quasi rinunciataria di Sancho Panza può essere ritrovata in numerosi altri Nove letterari, fra i quali meritano una menzione Bartleby lo scrivano, protagonista del racconto omonimo di Hermann Melville e Giorgio Babbitt il personaggio principale del romanzo di Sinclair Lewis, prototipo quintessenziale dell’americano di provincia di mentalità ristretta e tradizionale ma non cattivo, che cerca di sfuggire alla noia profonda che opprime la sua esistenza perdendosi in mille occupazioni e considerazioni di poco o nessun conto. Babbitt esprime in particolare un’altra caratteristica propria del Nove che può essere facilmente confusa per avidità: quella di circondarsi di molti oggetti e spesso collezionarli. Ciò che muove il Nove in questo suo comportamento è, in realtà, l’esigenza di non doversi creare un problema se qualcosa, ad esempio, si rompe. Ho capito bene quest’attitudine il giorno in cui chiesi ad un mio conoscente Nove di prestarmi una lampadina per la pila. Egli non mi fece alcun problema ma me la diede solo dopo una lunga ricerca fra i tanti cassetti dell’armadio a muro (aveva, ovviamente, dimenticato in quale aveva messo le lampadine), tuttavia, dopo un breve riflettere, mi chiese se per caso ne volevo una colorata. In breve dai vari cassetti vennero fuori non meno di quaranta lampadine. Quando gli chiesi cosa se ne faceva di tante lampadine, mi rispose che non ricordava mai se aveva una lampadina di un certo tipo oppure no, e che per non avere problemi in caso di necessità ne comprava almeno dieci alla volta. La passività, il cedere facilmente alle pretese delle persone care e la testardaggine del Nove nel mantenere ferma la propria posizione, appaiono evidenti nel personaggio manzoniano di Lucia Mondella, la cui innocenza riesce a colpire nel più profondo dell’animo il fosco ma non insensibile Innominato. La scena in cui Lucia, pur dissentendo, si fa convincere dalla madre e da Renzo a sposarsi pronunciando davanti ad un sorpreso don Abbondio, la formula matrimoniale, è veritiera solo se a subire quella decisione c’è un tipo Nove. Più determinati e apparentemente anche vanitosi appaiono, invece, personaggi come lo shakespeariano Falstaff o Winston Churcill. Quest’ultimo che con il suo grosso volume corporeo, anche fisicamente rappresenta l’immagine stereotipa del Nove, credeva, in realtà, d’essere molto vanitoso (nel senso, ovviamente, comune del termine), per la sua relativa cura dell’immagine di se. Il nucleo profondo della sua personalità, per come ce la ha esposta lui stesso nella sua autobiografia, era, invece, tipicamente Nove. Fra le varie note interessanti dell’essere Nove di Churchill c’è anche l’invenzione del carro armato inglese denominato Tank. Questo veicolo tozzo e massiccio, che non aveva alcuna pretesa stilistica, era in qualche modo, una forma di proiezione inconscia del suo autore. Il senso d’uguaglianza del Nove si esprime pienamente nella Costituzione degli Stati Uniti, i cui padri fondatori appartenevano in larga parte a questo tipo (e possiamo citare fra gli altri Benjamin Franklin e George Washington). Il concetto fondamentale della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti che, vale la pena di ricordarlo, è stata promulgata quando nel resto del mondo occidentale regnavano ovunque sovrani quasi assoluti, afferma con chiarezza che noi tutti siamo creati uguali e che, quindi, non esiste qualcuno che abbia più diritti di un altro. La naturale ritrosia del Nove a mettersi in mostra e la sua passività spinta talvolta fino alla catatonia, spiegano perché il quieto e poco appariscente sedicenne Albert Einstein, fu considerato poco più di un ritardato dai suoi maestri del ginnasio di Aarau che gli consigliarono di iscriversi ad una scuola professionale e di abbandonare il liceo. Einstein fortunatamente aveva la tipica testardaggine, in questo caso positiva, del Nove e tenne duro fino a scrivere i libri che hanno cambiato per sempre la storia della fisica. Nel premiatissimo film Balla coi Lupi Kevin Costner ci mostra un altro aspetto del tipo Nove. Costner eroe suo malgrado, chiede come premio una destinazione a stretto contatto con gli indiani Sioux, che nessuno voleva accettare, perché vuole conoscere la frontiera prima che essa scompaia (un tratto che lo accomuna alle motivazioni di Tartarino di Tarascona, un altro famoso personaggio Nove). La vita a contatto con i “selvaggi pellirosse”, fa scoprire all’accidioso Costner che gli indiani non sono per niente tali e che hanno, anzi, un rispetto per tutte le forme viventi e per la natura che i bianchi dovrebbero imparare. La capacità del Nove di mettersi da parte e di amare ardentemente tutta l’umanità e la pace, traspare con evidenza nelle figure gigantesche di due uomini che hanno illuminato con la loro presenza spirituale il secolo passato, il Mahatma Gandhi e Angelo Roncalli meglio noto come papa Giovanni Ventitreesimo. Se il primo è giustamente passato alla storia come l’apostolo della non violenza, il secondo considerato solo come un papa di transizione, ha mutato profondamente i costumi e la sensibilità della chiesa cattolica, spingendola a confrontarsi col Concilio Vaticano Secondo, con l’esperienza di fede di tutte le religioni, anche di quelle che non si richiamano alla parola e all’insegnamento di Cristo. Ambedue erano totalmente privi d’ambizione e si sono trovati ad essere, quasi controvoglia, la guida spirituale di grandi masse, che vedevano in loro uomini che insegnavano sempre e soprattutto ad amare. Un giorno nel mezzo delle sanguinose guerre che divisero l’India dal Pakistan, dopo la seconda guerra mondiale, un indù si recò da Gandhi e piangendo gli confessò di aver ucciso un mussulmano, dopo che la sua famiglia era stata sterminata da altri mussulmani. Gandhi lo abbracciò e gli disse semplicemente che avendo perso una famiglia doveva farsene un’altra. Lo invitò, quindi, a adottare un bambino orfano e stringendolo forte aggiunse: “Mussulmano, però”. Papa Giovanni aveva più volte dichiarato che la sua massima ambizione era quella di fare il parroco di campagna ed era conosciuto negli aspetti ecclesiastici come il monsignore il cui motto è: “Lasciateci avere comprensione l’uno per l’altro”. Il famoso e meritato titolo di Papa Buono, col quale la storia lo ricorda, era certamente dovuto al fatto che in lui all’istintivo buon cuore del Nove, si accoppiava una gran capacità di agire per il bene che non faceva distinzioni e superava qualsiasi fatalismo passivo.