In ossequio al principio che dove c’è passione c’è anche tabù, nel senso che la persona soggetta ad una specifica passione non sembra manifestare le caratteristiche più evidenti di quella passione, la parola Ira è scarsamente evocativa delle caratteristiche di questo tipo. Gli irosi, infatti, difficilmente perdono le staffe ed è anzi per loro ripugnante lo spettacolo delle persone che non sanno controllarsi o esprimersi in modo corretto. Siamo alla presenza di persone che sono state il classico “bravo ragazzo” e sono da adulte ordinate, scrupolose, educate, molto laboriose e con un codice morale ferreo. Persone che difficilmente alzano la voce per imporsi ma che sono molto attente a come sono fatte le cose e provano facilmente un senso interiore di fastidio per quelli che, secondo loro, non svolgono i loro compiti con la dovuta attenzione. Si può dire che la rabbia nasce in loro proprio perché gli altri non si comportano come loro ritengono che dovrebbero e come essi stessi fanno. La rabbia è l’unica dei tradizionali vizi capitali che sia considerata socialmente come munita di un doppio aspetto. Affianco, infatti, a quella che già Omero definiva come “ira funesta”, con la sua connotazione di distruttività e sopraffazione, si è sempre distinta una “giusta rabbia”, giustificata da considerazioni di tipo morale o ideologico. Le persone di questo tipo non vogliono vedere in se stesse l’esistenza del primo aspetto e s’identificano pienamente solo con il secondo. Vedono, così, il mondo secondo criteri di giusto o sbagliato, bianco o nero, sporco o pulito e credono ciecamente di avere pienamente ragione quando emettono i loro giudizi. Questa tendenza ad evitare ogni comportamento non corretto o ambiguo li porta ad ammantare, quindi, le loro azioni di un velo etico di “ buon’educazione”. Ciò li spinge ad usare un frasario ricco di condizionali con il quale l’iroso si può presentare come una persona animata solo da buone intenzioni. Frasi del tipo: “Dovresti fare così”, “Sarebbe meglio che tu ti comportassi in questa maniera”, oppure “bisognerebbe evitare questi comportamenti”, abbondano nel loro vocabolario. L’altro cui è rivolta quest’esortazione si accorge, però, dal tono della voce e dallo sguardo, che dietro all’apparente benevolenza c’è una durezza ed una rabbia che non ammettono repliche. La tendenza a perseguire una specie di “puritanesimo”, sia comportamentale sia sociale, spinge gli irosi ad essere, spesso, i peggiori nemici di se stessi, richiedendo un’attenzione continua (che si spinge fino alla pignoleria estrema), volta ad evitare qualsiasi possibile disattenzione o imperfezione. La maniera più tipica con la quale queste persone esprimono la rabbia, è in realtà la critica, che funziona come una sorta di valvola di sicurezza in una pentola a pressione. La critica, che assume spesso il carattere del brontolio burbero, è alimentata, come vedremo, da una spiccata sensibilità che porta le persone di questo tipo ad avvertire quello che è sbagliato (dal loro punto di vista egoico, ovviamente) e diventare talvolta molto rigidi. E’ inutile pertanto chiedere ad un tipo Uno di fare, ad esempio, un’autocritica esplicita su quello che gli altri considerano un errore, perché un Uno non potrebbe, neppure volendo, ammettere al mondo di avere agito male o inappropriatamente. In compenso, all’interno di se stesso il “pubblico ministero”, che la letteratura psicoanalitica chiama super ego, avvierà uno spietato processo di riesame delle proprie azioni. Questo rimescolio funesto o “risentimento”, che è una logica conseguenza dell’Ira, è stato descritto con grande acume psicologico da San Giovanni della Croce come una sorta di zelo irrequieto, teso a prevenire, mediante un atteggiamento censorio, ogni caduta nel “vizio”. Dato che l’Ira si trova collocata nella parte alta dell’Enneagramma, nella parte cioè che si trova a proprio agio con l’azione pratica, sarà anche caratteristico di queste persone un’ottima manualità ed una spiccata autonomia. Pur dando un gran valore alla propria privacy e rispettando come principio quella degli altri, i tipi Uno controllano con eccessiva premura il comportamento degli altri e spesso eccedono nel dare consigli anche se gli altri non li hanno minimamente sollecitati. Un esempio letterario classico di questa forma di manifestazione è il Grillo Parlante della favola di Pinocchio.
Un buon sistema per permettere la comprensione di un tipo dell’Enneagramma è quello di fornire esempi di persone o personaggi famosi che incarnano, per così dire, i discorsi teorici che vengono fatti. Nel tipo Uno abbondano i riformatori religiosi, i politici e in genere tutti quelli che sono mossi da un’intima convinzione che il mondo deve essere “salvato” e guidato con fermezza sulla strada del miglioramento etico-morale. La galleria degli esempi reali annovera uomini di fede come San Paolo, Martin Lutero, Calvino, sant’Ignazio di Loyola, l’attuale pontefice Giovanni Paolo secondo, ma anche politici e uomini di governo d’orientamento diverso come la regina Vittoria, George Washington, Lenin e il presidente dei DS italiani Massimo D’Alema. La mentalità un po’ poliziesca dell’Uno fa sì che molti uomini di giustizia o investigatori siano tipi Uno. Fra i tanti citiamo, ad esempio, il P.M. di Mani Pulite Antonio Di Pietro. Fra gli artisti che appartengono a questo tipo spiccano autori dotati di una visione “morale” del mondo. L’esempio più famoso in assoluto è quello, ovviamente, di Dante Alighieri. Tutta la Divina Commedia, letta in questa ottica, è il riflesso delle profonde convinzioni di un tipo Uno che vede l’intero universo in termini di buono e cattivo e non esita a giudicare senza dubbi. A Dante si affianca, per capacità di penetrazione psicologica e senso morale della storia, il maggiore romanziere italiano, Alessandro Manzoni. I Promessi Sposi sono un’autentica miniera di personaggi dipinti con quello scrupolo, quell’esattezza caratterologica e quella precisione fin nei minimi dettagli che è propria di questo tipo. Un esempio è quello del cardinale Federigo Borromeo che ci è descritto nel romanzo come un modello illuminato della caratteristica dell’Ira di vivere con uno zelo inesausto teso a cambiare il mondo. Nonostante alcune pecche del Federico reale, anch’esse proprie del tipo Uno, il Manzoni c’è lo mostra sempre ricco di una capacità d’azione che non si scoraggia neanche quando la peste avrebbe indotto i più ad una fuga precipitosa. Nel famoso dialogo con Don Abbondio (come vedremo un tipo Sei), il cardinale Federigo pronuncia le seguenti parole che sono un poco il riassunto dello stile di vita di un tipo Uno: “Tale è la misera e terribile nostra condizione. Dobbiamo esigere dagli altri quello che Dio sa se noi saremmo pronti a dare: dobbiamo giudicare, correggere, riprendere…Ma guai se io dovessi prendere la mia debolezza per misura del dovere altrui, per norma del mio insegnamento! Eppure è certo che, insieme con le dottrine, io devo dare agli altri l’esempio”.
Un altro tipo Uno quintessenziale è Harry Higgins, il protagonista maschile della commedia Pigmalione di George Bernard Shaw (anch’egli un tipo Uno), meglio nota col titolo della sua versione cinematografica My Fair Lady. Il mondo dei fumetti ci fornisce un altro ottimo rappresentante di questo tipo nel carattere di Lucy Van Pelt, sorella di quel Linus che dà il suo nome alle celeberrime strisce di Schultz. Il mondo cinematografico e della letteratura offre numerosissimi buoni esempi che possono facilitare la comprensione delle dinamiche interne di questo tipo. In Mary Poppins possiamo osservare l’atteggiamento educazionale e correttivo unito alla sua espressione piena di buone maniere. La recitazione di Julie Andrews, anche lei un tipo Uno, aggiunge ai tratti letterari del personaggio una vigoria e una decisione nel dare il buon esempio ai bambini che le sono stati affidati, che rendono perfettamente lo stile proprio dell’Ira. Dietro le famose parole, “basta un poco di zucchero” , si avverte chiaramente che non c’è una vera dolcezza nell’imporre un’aderenza a quello che socialmente è ritenuto essere un “buon comportamento”. Estremo è invece l’atteggiamento di Alister Stuart, il marito della protagonista muta di Lezioni di Piano, prigioniero della sua incapacità di far trasparire i reali sentimenti che nutre e al tempo stesso tanto controllato da assistere pieno di rabbia ma inerte al tradimento della moglie. Il risentimento e la tormentosa gelosia che lo torturano, possono trovare il loro sfogo solo quando egli intercetta il messaggio che la moglie invia al suo amante e viene a sapere che la moglie vuole abbandonarlo. La sua reazione è tipicamente quella di un Uno che non vuole ammettere a se stesso di essere in preda ad una rabbia furiosa. Taglia, infatti, un dito alla moglie, impedendole così di poter suonare e quindi di potere in qualche modo comunicare i suoi sentimenti, ma lo fa con un’azione che sembra alla sua coscienza non vendicativa, ma pienamente giustificata perché solamente correttiva di un comportamento sbagliato. Il desiderio di far tacere la voce critica interiore “salvando” ad ogni costo gli esseri, non importa se umani od animali, cari ad un tipo Uno, è invece la molla profonda che muove il comportamento di Clarice Sterling, l’eroina de Il Silenzio degli Innocenti dello scrittore Thomas Harris. Nella trama del film e del libro da cui è tratto, la motivazione del personaggio interpretato da Jodie Foster non è il semplice adempimento del proprio dovere professionale, ma una più profonda necessità di trovare la pace interiore mediante un’azione (il salvataggio di una ragazza rapita da un serial killer che fa riemergere in Clarice ricordi di una sua infantile esperienza dopo la morte del padre), che possa far tacere, almeno momentaneamente, le pretese inflessibili del proprio super ego. Nella parte finale del libro, dopo che la ragazza è stata salvata, Clarice riceve una lettera da Hannibal Lecter, il folle psichiatra cannibale interpretato da Anthony Hopkins cui lei si è rivolta per un aiuto nell’indagine, che mostra bene quali fossero le vere motivazioni che la spingevano. Con grande acume psicologico Lecter scrive a Clarice: “Bene, Clarice, gli agnelli hanno smesso di gridare?…Non sarei sorpreso se la risposta fosse si e no. L’urlo degli agnelli si fermerà per il momento. Ma, Clarice, il problema è che tu giudichi te stessa senza nessuna pietà; dovrai guadagnartelo di nuovo ed ancora di nuovo, il benedetto silenzio. Perché è l’impegno che ti fa muovere e comprendendo quale è il tuo impegno, l’impegno per te non finirà, mai” . L’ossessivo ed assurdo tentativo di migliorarsi, liberandosi di quelle parti dell’essere umano che sono ritenute “sporche” o “animali”, è invece la radice ultima delle azioni del protagonista del racconto di Stevenson Lo Strano Caso del Dottor Jekill e Mister Hide. Lo sdoppiamento della personalità di cui soffre il protagonista è molto di più di una semplice allegoria della condizione umana; essa ci mostra come il ragionamento per schemi buono/cattivo del tipo Uno, possa condurre in casi estremi verso il rifiuto di una parte di se e la conseguente patologia mentale. Un esempio, invece, delle migliori qualità di un Iroso è offerto dal personaggio di Guglielmo da Baskerville, ricalcato a mio avviso in larga parte sul modello di Sherlock Holmes, nel romanzo Il Nome della Rosa di Umberto Eco. Oltre all’iperattività, alla lealtà e alla mente deduttiva ma pratica, questo personaggio mostra anche un sottile senso dell’umorismo ed una capacità di comprensione che sono frequenti negli Uno più integrati. La motivazione profonda che lo spinge nella sua indagine poliziesca non è quella di trovare ottusamente un colpevole da punire, come fa, ad esempio, l’ispettore Javert nei Miserabili di Victor Hugo, ma è un qualcosa che è molto simile alle motivazioni di Clarice Sterling: è giusto che l’innocente sia salvato e il colpevole sia punito, non importa quanto ricco, potente o elevato nella scala sociale egli sia. Questa tensione eroica del tipo Uno pronto a combattere, senza curarsi del vantaggio personale, per un valore ritenuto interiormente giusto, può condurre, secondo i casi, sia a forme di fanatismo giustificato dalla morale, come nel caso delle Crociate, sia ad un’idealità che si trasforma in squisito altruismo, come nei casi dei grandi medici Pasteur e Sabin. Chiudo questa breve carrellata invitando il lettore a vedere lo stupendo film La Vita è Meravigliosa di Frank Capra il cui protagonista George Bailey, esemplifica in modo perfetto questa “probità” ricca di capacità di sacrificio del tipo Uno.