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Un perimetro strettissimo e fuori lo spazio per esserci

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Questo argomento contiene 1 risposta, ha 1 partecipante, ed è stato aggiornato da  Marina Pierini 13 anni, 5 mesi fa.

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  • #601 Risposta

    Utente Ospite

    Avete mai provato la sensazione che ovunque vi giriate si ripresentino mascherate sotto vesti diverse le stesse problematiche? E’ come se ruotassimo tutti intorno a un campo molto ristretto del reale, ed è come se decodifissamo della vita sempre le stesse monotone prospettive. Da quando sono venuta in contatto con questa benedetta ferita originaria, mi sembra che gira e rigira tutto parla sempre e soltanto di lei, declinata in mille modalità. E’ lei che colora il mondo dell’amore, ma non solo i rapporti di lavoro, di amicizia, i rapporti con me stessa, la quotidianità. Se sono felice è perchè ho riempito la ferita, se sono addolorata è perchè la ferita nuovamente mi inghiotte, insomma il perimetro è strettissimo, sento consensi alla luce di “quello”, rispondo in risposta a “quello”, è come se chiara alla fine fosse solo e soltanto quella ferita al di fuori di quello un vuoto che temevo fosse un buco e invece è spazio, forza, libertà infinita.
    Ogni istante è un continuo compromesso, un continuo riguardare la ferita, attraversarla, soffrire e poi distaccarsene, restare saldi e centrati, lasciando che ci attraversi e passi. Non è il percorso di una volta ma di centinaia, migliaia di volte, incontrare la ferita, guardarla, soffrire e poi risalire.
    A questo proposito volevo raccontare la mia esperienza e mi piacerebbe ascoltare le vostre.
    Nell’ultimo mese mi sono resa conto di questa solitudine emotiva, che mi faceva stare male, ero lì in attesa dei gesti degli altri ma non l’avrei mai confessato neanche a me stessa, aspettavo i gesti “di ritorno” (“come con tutto quello che ho fatto per te!”), ma preferivo morire fuorchè chiedere. Quando non venivano i gesti di affetto, approvazione etc etc, la prima reazione: piangere dentro, ma davanti agli altri far vedere che sei superiore, tutto per non percepire la vergogna di te, perchè se gli altri non ci sono o non mi danno forse non valgo granchè…Ma non è possibile, io non ho bisogno…Però il dolore c’è, e chiede di essere guardato e per farlo dovevo forse dirlo onestamente quel “Ho bisogno” e “forse non valgo granchè”. E’ stata tutta una lunga sequenza di ammissioni. Ma il dolore era ancora lì, “e allora che fai?”, mi dicevo. Ho provato a scaricarlo sugli altri, tramutandolo in rabbia, ma …quando l’ho fatto, prima ero una tigre, piano piano poi mi sono afflosciata…e di colpo ho visto le ragioni degli altri. Siamo tutti in una stessa barca…Ma allora chi è il “responsabile” del mio dolore? E’ stato allora che ho percepito quel vuoto. Il dolore da guardare. E appunto dentro il vuoto, il buco che fa paura. E d’un tratto nel dolore mi sono sentita sola, non c’era più nessuno. Questione di attimi..poi non so quando, a che punto e venuta da dove, è nata dentro una sconosciuta quiete, serena, stabile (la punta delle frecce 4 e 8 come diceva Maura?) Non so ma mi è sembrato che le frecce convergessero e si toccassero nel 2 tutto in un’unica voce, un’unica sinfonia compatta. Quella voce si è fatta strada e mi ha detto in modo quanto mai prosaico e scarno: ” E chi se ne frega che non c’è nessuno..” E in quel momento ho sentito tutta la solitudine totale, ma ugualmente una forza incredibile dentro le gambe, ero lì immobile e ferma nella tempesta e potevo guardare il deserto del Gobi intorno a me e sentire ugualmente che c’era tutto ma proprio tutto.
    Forse perchè mai come in quel momento c’ero “io”!
    Sento profondo il bisogno di ringraziare per questo dono immenso che è l’enneagramma, innanzitutto Antonio, che sta conducendo la nostra barca in questo mare, poi Maura che l’ultima volta con la sua lezione sulle frecce mi ha emozionato e mi ha comunicato una profondissima verità, Claudio, e tutte le persone che stanno facendo con me questo percorso (Marina, Valentina, la 2 che in assoluto sento più vicina a me, e tutto il bellissimo gruppo di Firenze), che ogni volta facendomi da specchio e confronto mi insegnano qualcosa di prezioso. Grazie a tutti!
    Chiara

    #4537 Risposta

    Marina Pierini

    Carissima Chiara, abbiamo avuto qualche confronto alcune settimane fa circa lo shock, perche’ penso di poterlo chiamare cosi’, che ci ha procurato guardare finalmente in faccia il drago. La ferita originaria che rivela inconfondibilmente quanto davvero ogni nostra azione sia totalmente condizionata da quel primo fulmine, quella prima scarica, che ci ha forzati e condannati all’esistenza umana e limitata. Certo, ci penso ogni momento, ogni volta che sento la rabbia dentro di me, ogni volta che il dolore diventa energia di cui liberarmi “con piacere” quello tipico della Passione. Come ti dicevo gia’ da vicino, l’enneagramma mi ha spinta a vivere differenti fasi e il lavoro sulla ferita mi ha fatta sentire come una persona capace di trasformare quella rabbia superficiale e dispersiva in uno stato di maggiore tolleranza e ascolto, ma altrettanto ha trasformato la rabbia vera, legata alla ferita in una sorta di laser superconcentrato di energia e dolore quando un evento riapre proprio la zona “viva” dentro. Un’energia che non si muove piu’ in orizzontale ma in verticale e mi scuote nelle zone piu’ oscure e abissali. Non posso dire di essere meno aggressiva o reattiva rispetto a prima, perche’ le mie energie vitali sono quelle di sempre, diciamo che e’ il modo in cui viene incanalata, le motivazioni, gli episodi la quantità di dolore che provo insomma in relazione ad eventi sempre piu’ precisi. Quando vedo, quando mi accorgo, a nulla serve osservare con una parte del mio cervello quanto reagisco, perche’ il dolore e’ furibondo e insopportabile. Esplosivo. Dopo, solo dopo, anche io riesco a percepire il suono di una voce che mi dice “non conta cio’ che non sei per altri o non sarai mai, conta solo cio’ che sei veramente”. L’ondata si placa, una serie di colori ultravioletti si alternano e scuotono la casa che e’ in me, fino alle fondamenta, e poi compassione, silenzio, pace, accettazione. Non posso dire che si tratta di quiete risolutiva, perche’ non appena qualcuno rimette il piede sulla zona dolorante tutto accade di nuovo e si ripete all’infinito, ma in questo gioco che almeno oggi mi si rivela allo sguardo, in quel varco di vuoto, di pace, di compassione, io trovo quello che davvero sono. Quando dico “io”, so che e’ li’ che posso cercare. Non mi conosco ancora, non so chi sono io. Ignoro troppo di me, di quella me che abita in quel giardino che sembra quasi un altrove rispetto ad una abitazione cosi’ riconoscibile, cosi’ strutturata, cosi’ fatta per reggere il peso della vita….o per crederlo. E’ come osservare gli ingranaggi vivi di un orologio. vedo tutto, non posso impedire alle lancette di scorrere, al tempo di trascorrere, agli ingranaggi di sospingersi a vicenda, ma posso scegliere tra un infinito attimo e l’altro dove voglio essere e cosa e come. Dura pochissimo. Scintille di liberta’. La fede mi aiuta molto perche’ so che posso non essere ossessionata da un obiettivo non umano, non raggiungibile. Intuire la luce mi basta, oggi, perche’ so che essa esiste ed e’ la risposta al buio. Posso coglierne l’esistenza. A me la fede ha dato il senso di un’altra liberta’ che non entra in conflitto con la scoperta di Marina, ma che anzi la accompagna e la completa. La mia meta’ umana che urla di furore e dolore quando viene colpita e la mia meta’ ultraterrena che puo’ accettare, che puo’ amare, che ci puo’ stare, che sa di non sapere. Grazie anche a te e agli scambi che sei aperta e disposta ad avere perche’ lo sai, te l’ho sempre detto e lo ripeto con gioia quissu’, sei una persona sensibile, intelligente, aperta e seria ed e’ sempre un piacere affidarsi al tuo ascolto. Un bacione. Sirenella.

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