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Le viscere e le bugie.

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Questo argomento contiene 5 risposte, ha 1 partecipante, ed è stato aggiornato da  Antonio Barbato 13 anni, 5 mesi fa.

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  • #591 Risposta

    Marina Pierini

    Volevo ringraziare innanzitutto Raffaella che, come al solito, ci ha offerto spunti belli, interessanti e arguti nei suoi due articoli pubblicati in enneagramma e cinema. A proposito del film bellissimo anche se un po’ datato: la gatta sul tetto che scotta, ho notato una riflessione che mi ha colpita veramente molto e che volevo condividere con voi. Si parla della mamma del protagonista che sembra davvero essere un tipo 9 e del padre che e’ un tipo 8 e della loro reazione nei confronti della morte, in questo caso specifico della malattia grave del padre e della notizia della sua fine imminente che incombe su tutto il film. La trama e le riflessioni le potete leggere se avete accesso all’articolo, ovviamente, accenno solo per agevolare chi non ricorda il film e non e’ iscritto all’assise, che la storia si sviluppa attorno a questo padre 8 che, come accennavo, ha una malattia grave e sta per morire e le crisi matrimoniali e familiari dei personaggi sembrano essere nodi che non possono piu’ sfuggire al pettine, che in qualche modo trovano una risoluzione o un arresto a seconda della capacita’ di evoluzione ed introspezione dei personaggi. Mi ha colpita che sia il padre 8 (al quale nella prima parte del film nessuno ha detto di essere in fin di vita) e la mamma 9, fingono il piu’ possibile di credere alla bugia di miglioramenti di salute improbabili e di come essi reagiscano dinnanzi a questo spettro, la morte, che secondo i loro meccanismi di difesa puo’ svanire ed essere tenuto lontano evitando di guardare il dolore e la verita’. I personaggi ci credono il piu’ a lungo possibile. Vogliono crederci a dispetto delle tensioni, della paura e dei sentimenti di rabbia dei vari elementi della famiglia che via via interagiscono con loro. Questo spunto mi ha fatto tornare alla mente un episodio personale, quello della malattia grave che colpi’ mio padre piu’ di dieci anni fa ormai, e che purtroppo ha messo fine alla sua vita. Mio padre era un 9. Ricordo che siamo state sopratutto noi figlie ad occuparci di tutto, dagli accertamenti, alle analisi, ai consulti con i medici, fino alla fine per cercare di salvarlo e curarlo e ci siamo sentite molto tormentate e angosciate quando abbiamo deciso di non dirgli quanto gravi fossero le sue condizioni. Si e’ trattato di prendere una decisione difficile e molto sofferta, noi tendenzialmente riteniamo sia giusto dire certe verita’ affinche’ ad una persona malata sia concesso il diritto di fare del tempo che le resta, cio’ che desidera. Eppure, eravamo certe che i messaggi, i comportamenti di nostro padre, che soffriva fisicamente molto e che non poteva davvero credere di non avere problemi gravi, ci indirizzassero verso il silenzio. Sono trascorsi molti anni da allora. Non nego, di essermi chiesta di tanto in tanto, se non avevo voluto interpretare la volonta’ di mio padre, in maniera distorta o errata per non dover affrontare un confronto tremendo nel dargli questa notizia. Avevo creduto, percepito, che non volesse sapere, fino alla fine, ma ho vissuto con questo dubbio lacerante molti degli anni che sono seguiti. Leggere in queste poche righe scritte da te Raffaella, che questo comportamento, questo atteggiamento che caratterizza sopratutto i viscerali, non e’ insolito ma anzi…che e’ spesso riproposto quando devono scontrarsi col dolore, con la fine, con la sofferenza, ha sciolto in qualche modo quelle ultime tensioni che mi attanagliavano al solo ricordo di quel periodo tremendo. Mio padre non voleva sapere, oggi posso considerare questo fatto come credibile e comprensibile, ha potuto credere ad una bugia insostenibile e lo ha fatto fino al suo ultimo respiro. Non e’ impossibile, lo e’ stato per me comprenderlo, allora. Per fortuna oggi molte cose mi sembrano piu’ chiare e verosimili. Io credo che l’enneagramma sia anche questo. Uno strumento che puo’ aiutarci a decodificare comportamenti che ci hanno procurato dolore e incredulita’, che magari abbiamo subìto impotenti, e che nel rivelarsi possibili, credibili, spiegabili ci possono liberare da dubbi e fantasmi. Grazie come sempre allora, perche’ offrire il proprio lavoro per scandagliare le possibili soluzioni umane e’ uno sforzo impegnativo che arricchisce sempre e comunque e la comprensione, per me che sono un 4, ma forse per noi tutti, e’ uno dei modi per recuperare una parte di quell’equilibrio e quella pace interiore che le sofferenze della vita tendono a portarci via. Sia quando ci vediamo rispecchiati nei ruoli attivi, sia quando ci vediamo riflessi nei volti e nelle esperienze di coloro che vivono passivamente i comportamenti e le scelte di altri. Un bacio a tutti.

    #4318 Risposta

    Roberto Maieron

    Cara Marina,
    la tua esperienza riguardo al non rivelare nulla a tuo padre sulle sue reali condizioni di salute mi ha rievocato la mia esperienza di quando e’ morto mio padre (di cancro ai polmoni, 7 anni fa). Mio papa’ era un sei controfobico: ovviamente, dato che aveva fatto anche due operazioni in pochi mesi, sapeva del cancro ai polmoni ma aveva sempre un atteggiamento fiducioso e pieno di energia. Tuttavia, non chiedeva mai a noi figli se avevamo informazioni complete sulle sue condizioni di salute. negli ultimi tre mesi la sua fine era certa, e c’era stato un vero e proprio tracollo fisico. Ugualmente manteneva questo atteggiamento di fiducia. Sembrava che la morte fosse qualcosa che non lo riguardasse veramente.
    Mai dato un segno di paura. Mai. La paura la si poteva cogliere in modo molto indiretto. Io ero sicuro che non voleva sapere. Mi ricordo che in quel periodo pensavo che in una situazione analoga io avrei voluto sapere: la morte e’ il culmine della vita, il fine vero dell’esistenza, e io anche ora vorrei non essere colto impreparato per quel momento, ma voglio avere il tempo per presentarmi pronto, senza piu’ resistenza.
    Fin da bambino sono stato terrorizzato dalla morte. Dai 6, 7 anni fino a oltre i venti un’inifinita’ di volte ho temuto il momento in cui sarebbero morti i miei genitori. Lacertezza che un giorno io li avrei visti morti e che loro non ci sarebbero stati piu’ mi ha anche portato ad avere un forte attaccamento nei loro confronti. Ho cosi’ sofferto negli anni questa possibile esperienza , l’ho vissuta virtualmente cosi’ tante volte che quando e’ successa davvero, ossia quando mio padre e’ morto, io ho sentito solo amore per lui, ma non lacerazione, ne’ disperazione, ne’ rabbia,nè sensi di colpa. Solo un immenso amore che si manifestava solo in apparenza come dolore (il dolore in realta’ nasconde sempre l’amore).
    Comunque, il giorno in cui è morto, riguardo a questo fatto del sapere è successo un episodio che mi rimarra’ profondamnete impresso per sempre nel mio animo. Mio padre era alla fine. Era solo questione di ore avevano detto i medici. Eppure la stessa mattina (4 o 5 ore prima di morire), mio papa’ aveva parlato con loro di nuove terapie di nuove possibilita’. Era lucidissimo. Nella tarda mattinata, un’infermiera arriva nella sua stanza , gli cambia le flebo (gli davano ormai solo morfina, lui ovviament enon lo sapeva) e fa un breve commento che tradisce le condizioni reali di mio padre. Vedo mio papa’ che si irrigidisce, lo sguardo confuso da quanto udito. Dopo poco viene un’altra infermiera , si avvicina a lui e gli chiede se vuole parlare con un prete. Mio padre capisce. Dice di no, piu’ volte, chiedendo anche perche’, mostrandosi molto confuso e spaventato.
    Quindi, con quellasua voce che era pressoche’ sparita (il tumore gli aveva preso ormai tutta la gola e non era piu’in grado di parlare normalmente) si gira verso di me e, con tutto il suo essere – completamente indifeso e assegnandomi quasi la responsabilita’ della sua esistenza mi chiede: “Sto morendo?” L’ha chiesto in un modo cosi’ straziante che e’ impossibile riuscire a spiegare come ha pronunciato le parole e come potesse sentirsi lui in quel momento.
    Io ho avuto pochissimi istanti per decidere che cosa dire. Credo che siano passati meno di due secondi . Ma in quei due secondi – che mi sono apparsi un’eternita’ – ho avuto un forte conflitto interiore e “ho visto” le risposte che avrei potuto dare. La sua domanda meritava rispetto, non potevo negargli la verita’. Ma dirgli la verita’ avrebbe significato la drammatizzazione di quel momento e la disperazione. Non avrei mai voluto che mio padre morisse disperato, con un’enorme paura dentro di se’! Ma non poteva neppure morire cosi’ , con suo figlio che gli mentiva su una cosa che aveva chiesto con tutto il suo essere, con la disperazione di chi vuole sapere la verita’.
    Cosi’ ho lasciato che parlasse quello che sentivo dentro di me. Io stesso ho avuto la sensazione di non aver scelto le parole ma di essermi ascoltato. Gli ho detto in modo sicuro, assolutamente sereno, amorevole nel nostrodialetto di stare tranquillo , di rilassarsi e di avere fiducia. Ricordo le ultime parole: “..dormi, papa’. Dormi . Sta’ tranquillo. E’tutto a posto” . Nel modo in cui gli ho detto le parole in realta’ glistavo dicendo che stava si’ morendo, ma che stava vivendo qualcosa che era nella natura delle cose. Mio padre allora si e’ disteso sul letto e ha smesso di agitarsi. Poi, pian pianino, si e’ addormentato. E dal sonno e’ passato alla morte nel giro di pochi minuti.
    Anche adesso che racconto questo fatto, come allora, mi viene da piangere, ma non è qualcosa di doloroso. E’ solo perche’ sento questo grande amore per mio papa’. E finche’ questo sopravvive ,anche lui sopravvive dentro di me.
    Grazie.

    #4319 Risposta

    Sirenella

    Caro Roberto, la tua testimonianza mi ha colpita e commossa. Grazie per averla condivisa. Vorrei aggiungere qualcosa ma lo faro’ in un altro momento, per ora preferisco lasciar sedimentare le tue parole e le riflessioni che mi hai ispirato. Un saluto affettuoso, Marina Pierini.

    #4320 Risposta

    Antonio Barbato

    Cari amici, la lettura delle vostre esperienze mi ha profondamente colpito e coinvolto. Io ho perso già da molto tempo i miei genitori che sono finiti quando ero piuttosto giovane e, purtroppo per loro e segnatamente per mia madre, quando loro erano ancora piuttosto giovani. La mia esperienza è stata molto diversa dalla vostra e parecchio lacerante perchè a tutti e due loro era, da un certo punto in avanti, del tutto ovvio che stavano morendo, con la grande differenza che per mamma fu una liberazione (e, credetemi, capisco bene tutti quelli che propugnano l’eutanasia come possibilità per il malato di riappropriarsi della sua dignità innanzitutto), mentre per papà fu la possibilità di riconciliarsi con il suo animo bambino. Mi piacerebbe molto se tutti gli amici, se la sentono, si unissero a questo colloquio. E’ anche per questo che ho pensato al forum aperto come a uno strumento utile per la crescita della comprensione e dell’empatia. Commenterò gli spunti più direttamente enneagrammatici di tutto quello che ho percepito dalle vostre testimonianze, quando avrò la testa meno ingombra di pensieri di adesso.

    #4321 Risposta

    Chiara

    Mi ha colpito molto leggervi, volevo ringraziarvi perchè è un’emozione forte leggere parole così ricche, coraggiose e piene di verità.
    E’ stato per me un momento di commozione perchè leggendovi ho ricordato mia madre, e si sono aperti i sigilli di un’esperienza che conservo chiusa nel mio cuore come un piccolo tesoro.
    Ho perso mia madre a 23 anni, dopo una bruttissima e lunga malattia durata circa dodici anni. Mia madre sapeva, ha sempre saputo di dover morire, ma forse perchè ero una ragazzina ha protetto lei me fino alla fine. Io ho vissuto un’esperienza all’incontrario, ero io che non reggevo la verità e che volevo sentire bugie pietose perchè terrorizzata dalla sua malattia. Mia mamma, una donna enorme, forte, sensibile e generosa mi ha regalato fino in ultimo il suo sorriso, un grande senso dell’umorismo con cui raccoglieva l’assurdo nella tragicità, un grande calore di madre con cui era solita lei fragile, consolarmi e insegnarmi ad accettare piano piano il dolore. Mi diceva sempre “Chiara devi avere fiducia nella vita, in come alla fine vanno le cose, il segreto è lasciar fluire, lasciar accadere, arrendersi anche alla sofferenza”. Ma in lei non c’era passività o rassegnazione, fino alla fine una grande vitalità, l’intensità degli attimi, la serenità e la fiducia nella vita.
    Quando è andata via è entrata in coma ed è stata su quello spicchio terribile per una decina di giorni. Aveva gli occhi aperti ma non mi vedeva, quando ancora parlava le sue parole parlavano di cose sconosciute inesistenti a noi. Mi sembrò di impazzire riflettendomi in quegli occhi vuoti, mi sembrò di attraversare tutto il dolore del mondo senza braccia nè gambe a sostenermi, mi sentiva piccola piccola e avrei voluto entrare anch’io in quel mondo folle senza confini per scomparire e sbiadire e insieme a me scomparire quel grande dolore che dilagava come un oceano.
    Volevo addormentarmi tra le braccia di quel “padre mare” per avere finalmente pace.
    Attraversai la morte, ma non morii, giunsi all’altra riva. Le parole di mia mamma mi hanno sempre sostenuta, abbracciata anche nei momenti più difficili. Fu allora in quel preciso esatto momento che diventai madre di me stessa, tutto quel poco di calore che oggi riesco a dare agli altri nasce da quel calore dolce con cui mia madre riuscì a insegnarmi il colore del dolore.
    Grazie a voi di avermi donato il coraggio di ricordare.
    Un bacio, Chiara
    Mi ha colpito molto leggervi, volevo ringraziarvi perchè è un’emozione forte leggere parole così ricche, coraggiose e piene di verità.
    E’ stato per me un momento di commozione perchè leggendovi ho ricordato mia madre, e si sono aperti i sigilli di un’esperienza che conservo chiusa nel mio cuore come un piccolo tesoro.
    Ho perso mia madre a 23 anni, dopo una bruttissima e lunga malattia durata circa dodici anni. Mia madre sapeva, ha sempre saputo di dover morire, ma forse perchè ero una ragazzina ha protetto lei me fino alla fine. Io ho vissuto un’esperienza all’incontrario, ero io che non reggevo la verità e che volevo sentire bugie pietose perchè terrorizzata dalla sua malattia. Mia mamma, una donna enorme, forte, sensibile e generosa mi ha regalato fino in ultimo il suo sorriso, un grande senso dell’umorismo con cui raccoglieva l’assurdo nella tragicità, un grande calore di madre con cui era solita lei fragile, consolarmi e insegnarmi ad accettare piano piano il dolore. Mi diceva sempre “Chiara devi avere fiducia nella vita, in come alla fine vanno le cose, il segreto è lasciar fluire, lasciar accadere, arrendersi anche alla sofferenza”. Ma in lei non c’era passività o rassegnazione, fino alla fine una grande vitalità, l’intensità degli attimi, la serenità e la fiducia nella vita.
    Quando è andata via è entrata in coma ed è stata su quello spicchio terribile per una decina di giorni. Aveva gli occhi aperti ma non mi vedeva, quando ancora parlava le sue parole parlavano di cose sconosciute inesistenti a noi. Mi sembrò di impazzire riflettendomi in quegli occhi vuoti, mi sembrò di attraversare tutto il dolore del mondo senza braccia nè gambe a sostenermi, mi sentiva piccola piccola e avrei voluto entrare anch’io in quel mondo folle senza confini per scomparire e sbiadire e insieme a me scomparire quel grande dolore che dilagava come un oceano.
    Volevo addormentarmi tra le braccia di quel “padre mare” per avere finalmente pace.
    Attraversai la morte, ma non morii, giunsi all’altra riva. Le parole di mia mamma mi hanno sempre sostenuta, abbracciata anche nei momenti più difficili. Fu allora in quel preciso esatto momento che diventai madre di me stessa, tutto quel poco di calore che oggi riesco a dare agli altri nasce da quel calore dolce con cui mia madre riuscì a insegnarmi il colore del dolore.
    Grazie a voi di avermi donato il coraggio di ricordare.
    Un bacio, Chiara

    #4322 Risposta

    Antonio Barbato

    Questo tema tocca veramente le viscere e, perché negarlo?, le corde più profonde della nostra ragione emozionale. Accettare di sentirsi totalmente indifesi davanti al dolore, e permettere a noi stessi di sentire che quell’esperienza fa parte del nostro cammino, è troppo duro eppure è indispensabile. Capisco che questo tema possa intimidire chi non se la sente di condividere la propria esperienza…… però, che peccato!!!!

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