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Tex e company

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Questo argomento contiene 92 risposte, ha 1 partecipante, ed è stato aggiornato da  un atomo 13 anni, 5 mesi fa.

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  • #4404 Risposta

    Elisabetta

    Vi ringrazio entrambi Marina ed Antonio per la pazienza, quello che non avevo messo bene a fuoco nel tipo 3 è la totale aderenza a certi modelli. Tutti usiamo il meccanismo dell’identificazione con il modello genitoriale ma certo nel 3 questo diviene il meccanismo primario di difesa e quindi coinvolge totalmente la personalità, divenda una questione di sopravvivenza dell’ego e si ripropporrà più volte durante la vita, ogni volta cioè che un modello vecchio viene percepito in modo disfunzionale a nuove esigenze o prospettive. Quello che in realtà cercavo anche di capire è se possiamo trovare una o più caratteristiche che ci permettono di riconoscere questa personalità ed io direi che sicuramente una è la capacità di grande autocontrollo, cioè la capacità di adeguarsi velocemente tenendo sotto controllo una serie di impulsi o comportamenti diversi. Infatti anche tu Antonio hai detto che il tre tende sempre ad essere “troppo” perfetto. Io ho un amico 8, posso dire che è buono anche affettuoso, nel senso che se ti vuole bene te lo vuole veramente, ma se qualcuno gli fa uno sgarbo perde subito il controllo della situazione e reagisce male, passando magari dalla parte del torto. Non so se un tre potrebbe essere capace di tanta impulsività.

    #4405 Risposta

    Marina Pierini

    Aggiungo che, verissimo quanto dici Eli, è pur vero che solo l’enneagramma ti ha offerto la possibilità di riconoscere in momenti di stress un 3 da un altro tipo. Il punto quindi è che senza enneagramma (e non sempre è così facile l’identificazione di una persona) un 3 passa tranquillamente x altro. Per ciò che concerne il tipo 5, più che assomigliare ad un 3 nell’aspetto più ritirato e riservato trovo che gli possa assomigliare quando entrambi scivolano in atteggiamenti arroganti. Sia i 5 che totemizzano la conoscenza, sia i 3 che la usano per acquisire sicurezza in quello che fanno, finiscono con l’essere arroganti e ruvidi. Io tovo quindi che un 3 possa davvero confondersi con qualunque tipo, e solo un’attento lavoro di osservazione può rendere manifeste a noi le differenze. Vedi ad es. le apparenti diversità tra un personaggio come Topolino ed uno Swarznegger…sono entrambi dei 3 eppure incarnano differenti modelli di mascolinità. L’inganno è una Passione e come tale rende inconsapevole chi la vive tanto da fare di essa l’unica sua realtà, l’unico modo di agire nel mondo. 🙂

    #4406 Risposta

    Antonio Barbato

    Sto leggendo quando ho tempo le storie di Tex e, avendo una idea più completa del personaggio, posso concludere che propendo decisamente per il tipo Otto con una forte ala Sette. Inoltre, sto leggendo alcune strips di Mafalda di Quino e mi domando che tipo possa essere quella prodigiosa, sensibile, tenera e rabbiosa bimbina. Qualche idea???

    #4407 Risposta

    Roberto Maieron

    Parlando al telefono con te Antonio mi avevi gia’ comunicato che ti eri convinto che Tex fosse un 8, rileggendo le vecchie storie ristampate.
    In realta’ Credo che tu avessi ragione anche prima, quando sostenevi che fosse un 3. In effetti Tex quando e’ nato ha avuto come sceneggiatore il suo creatore, Gian Luigi Bonelli. Era una persona molto rude ma molto semplice. Andava in giro con la pistola e , a detta di chi lo conosceva, tex era in realta’ lui stesso. Ossia un 8 fatto e finito.
    Con il passare degli anni Gian Luigi Bonelli è stato sostituito in toto sopratutto da uno sceneggiatore, Nizzi, che inevitabilemente ha immesso molto del suo, modificando in modo graduale e quasi impercettibile il personaggio. Il Tex di Nizzi e’ certamente un 3, come quello di Bonelli e’ un 8.
    Queste considerazioni su di un personaggio a fumetti si sono poi trasferite su altri personaggi realmente esistiti: Palmer e Naranjo assegnano a Hitler l’enneatipo 6 e 4; per Mozart il padre religioso Ebert lo vede come un 7, mentre Naranjo lo identifica come un 2.
    Come mai queste differenze? Anche gli esperti si dividono. Credo che queste diversità riguardino proprio la problematica dell’informazione.
    Alcuni tramandano un tipo di immagine, altri un’altra diversa.
    Vedendo il film “Anadeus” su MOzart non ci sono dubbi che Mozart sia un 7. E credo che Ebert sia rimasto condizionato dall’immagine popolare e tradizionale di Mozart. Naranjo invece è un musicista, un compositore, appassionato anche delle biografie dei grandi musicisti.
    Hanno ragione entrambi. Credo che molte discussioni sulla correttezza di un enneatipo vertano sul tipo di proiezione che facciamo noi del personaggio e non delle realta’ identificative.
    Ci sono delle conseguenze molto importanti su questo tipo di operazione.
    Ora non ho tempo per parlarne, ma lo faro’ uno dei prossimi giorni.

    #4408 Risposta

    Marina Pierini

    Caro Roberto, io penso che quando si vuole osservare personaggi storici o di fantasia attraverso le lenti dell’enneagramma ma anche solo in maniera personale, è fuori discussione che subentrino consciamente e incosciamente una serie di fattori che condizionano il nostro modo di leggere una personalità, rispetto a quello altrui..e in linea di massima essi sono “passivi” rispetto alla nostra osservazione perchè non possono dirci la loro opinione. Onestamente, credo che se è vero che sui personaggi di fantasia spesso vi siano differenze causate, come anche tu spiegavi molto bene, da passaggi di mano ossia dal cambio di autori che inevitabilmente trasfondono qualcosa di sè sul carattere generale del personaggio, modificandolo nel tempo, è altrettanto vero che i personaggi storici, quindi reali avevano ed hanno un carattere ben preciso. Penso che sia più facile lavorare sui personaggi ancora viventi perchè i loro comportamenti e le loro affermazioni spesso non sono “riportate” da altra mano ma sono sotto i nostri occhi. Chi conosce in maniera approfondita l’enneagramma può intuire meglio di altri a mio avviso, le sfaccettature di una personalità, ma anche in questo caso vi possono essere pareri discordi. Ebbene io credo che prima di soppesare le cause di tali differenze di opinioni (che ci saranno sempre) si dovrebbe distogliere lo sguardo dal personaggio e osservare l’osservatore. Io mi chiedo sempre chi è che dice cosa e sopratutto perchè. Vi sono molti motivi, consci ma sopratutto inconsci per i quali un osservatore può esprimersi differentemente dagli altri, e fra i tanti motivi magari vi è quello di volersi distinguere dai più. Differenziarsi è un modo di affermare sè stessi ed emergere ed aquisire autorevolezza a dispetto delle voci che non sono in contrasto. L’osservatore vuole dare o vuole prendere? Sta a noi, fare un lavoro di discriminazione, e comprendere che anche l’osservatore è un uomo, che la sua interpretazione è uno stimolo ma non è Verità assoluta. Questo vale per la Palmer, per Naranjo, per Barbato e chiunque di noi. La cosa migliore è sempre il riscontro della persona coinvolta. Sappiamo altrettanto bene che vi sono persone che oppongono una sfrenata resistenza nel volersi identificare correttamente, a volte impiegano anni e ci riescono quando “gli altri” gli fanno da specchio e non confermano l’immagine di loro stessi che hanno idealizzato. Siamo esseri umani e forse il punto è che se l’osservazione altrui mi offre una buona conoscenza del “mio” tipo, perchè ne mette in evidenza le similitudini e le differenze allora forse si sta facendo un buon lavoro, perchè si lavora per l’altro anche se si valuta male un personaggio. Vi è desiderio di chiarire le sfumature per aiutare l’altro a guardarsi meglio. Se invece si è mossi dalla superbia, dalla vanità, dalla boria e dall’arroganza intellettuale seppure inconsce o camuffate c’e’ poco da fare …si è schiavi di demoni per i quali si è al servizio e non c’e’ posto per l’altro. Dunque diventa marginale, almeno secondo me, stabilire chi ha ragione e perchè, ma solo quanto mi è utile un’analisi e se mi arricchisce oppure no.

    #4409 Risposta

    Marina Pierini

    P.S. scusa la mia quattragine Roberto. Riflettevo sulla tua osservazione circa i risultati del lavoro di Ebert e di Naranjo a proposito di Mozart. Tu ci racconti che il primo ha dedotto che Mozart fosse un 7 osservando un film che ce lo racconta come un 7. Di Naranjo dici che il suo essere musicista lo rende più competente circa l’analisi delle biografie dei musicisti e secondo lui Mozart era un 2. Dici anche che hanno ragione entrambi. Tuttavia rifletto che se è vero ciò che tu riporti, così come lo riporti, allora hanno anche torto entrambi. Mi sembra inefficace valutare un personaggio storico solo guardando un film. Così come mi sembra inefficace affermare che siccome si conosce la musica si comprende meglio anche il musicista. Se in discussione vi fosse stato uno spartito, allora un’esperto di musica sarà in grado molto più di molti, di valutarne il peso tecnico e qualitativo. Dunque la conoscenza della musica mi rende un buon riconoscitore oltre che conoscitore di “musica”. Che relazione c’e’ tra questo e l’analisi di un carattere? Se queste due persone hanno usato l’enneagramma, quello che conta veramente è quanto conoscono questo strumento, in che maniera la loro conoscenza si differenzia, con quanta profondità e accuratezza si è affrontato questo lavoro di ricerca, quanto pesano le loro differenze culturali e la differenza tra la “specificità condizionante” ai fini di una corretta analisi, del loro stesso carattere. Alla fin fine, se hanno lavorato tutti e due con serietà e accuratezza giungendo a due conclusioni differenti, non ci resta altro che considerare che abbiano ragione e torto tutti e due. Che qualcuno prima o poi, potrà effettivamente azzeccare l’analisi ma nessuno lo saprà mai con certezza, per il semplice fatto che Mozart è morto e non può dirci più nulla. Dunque, quello che conta non è dove sta la verità, perchè questo significherebbe dare alla conoscenza un potere che noi sappiamo bene essa non ha, e cioè quello di fornirci verità assolute. Quello che conta per noi che osserviamo i loro risultati è dunque, come dicevo prima, tutt’altro. Che ne pensi?

    #4410 Risposta

    Roberto Maieron

    Ho letto più volte i tuoi messaggi Marina per cercare di cogliere esattamente che cosa intendevi dire. Quello che dici è del tutto corretto e ragionevole.
    In realtà però io sto parlando di un’altra cosa e mi rendo conto che non sono riuscito a spiegarmi bene.
    Quando dico che entrambi hanno ragione (Naranjo ed Ebert) riguardo all’identificazione di Mozart (2 o 7) non mi riferisco solo al fatto che le informazioni che hanno ricevuto li portano a concludere per una identificazione piuttosto che per un’altra.
    Non e’ quella la questione. Il dato significativo e’ che entrambi hanno ragione. Anche se avessero detto che era un 3 oppure un 1 o un qualsiasi altro numero. Quello che conta è che entrambi sono sinceramente convinti
    dell’identificazione conseguita e si comportano interiormente di conseguenza. Cosa significa “si comportano interiormente di conseguenza”? Significa che “danno realtà alla loro credenza”. Mozart poteva anche essere un 9 per lui stesso o per chiunque altro obiettivo o meno che sia l’osservatore. Non e’ quello il punto. Il punto è che per Ebert e’ un 7. per Naranjo un 2. “DAre realta’ ” a qualcosa significa crearla.
    Ti prego di fare attenzione ai vocaboli che adopero. “Dare realta’ a qualcosa significa crearla”. Cerca di non comprendere questa frase intellettualmente. Respirala, lascia che entri dentro di te. E non pensare a nulla. “Dare realta’ a qualcosa significa crearla.” E’ vero anche l’opposto: “Non dare realta’ a qualcosa significa impedire di creare realta’.”. Se nella mia coscienza appare qualcosa e io le do’ credibilità, ossia le do’ realta’, le permetto di “agganciarsi” a qualcosa, ed un attimo dopo quella cosa diventa reale, direi addirittura “materiale”. Ti faccio notare per semplificare al massimo la cosa, come ogni enneatipo sia un “costruttore di realta’”. Nel proprio universo ogni individuo vive una realta’ del tutto personale, oggettivizzandola e credendola tale e eguale per tutti. Egualemnte reale per tutti. La verita’ oggettiva non esiste. O meglio esiste nel momento in cui io le do’ realta’, ossia la faccio diventare reale, creandola. Faccio un esempio banale, concreto. Se io do’ realta’ all’idea che tutti ce l’hanno con me, OGGETTIVAMENTE trovero’ un sacco di gente che ce l’avra’ su con me. SE io do’ realta’ all’idea di essere una personalita’, un 5 un 4 o che altro, la mia vita OGGETTIVAMENTE mi confermera’ di avere e di essere quella personalita’(e questo e’ il grande reale pericolo di credere eccessivamente nell’enneagramma, ossia di credere che parli di cose veramente “vere”). Creo realta’ e me la confermo. Ci sono persone che dentro di se’ , in grande profondita’, DECIDONO (ma non lo sanno a livello conscio sia chiaro) di avere dei poteri (economici, sessuali, paranormali, di divinazione del futuro, pranoterapia, tutto quello che vuoi) nella realta’ oggettiva quei poteri emergeranno. Perche’ saranno loro a rendere reale qualcosa a cui hanno dato realta’.
    Nella vicenda di Mozart mi ha molto colpito sia l’atteggiamento di Naranjo sia quello di Ebert. Naranjo vede in Mozart l’amore mariano, la tensione verso la Compassione. Nell’ultimo Sat il lavoro si e’ concluso con una meditazione sulla musica del Requiem di Mozart. Mozart quindi come un uomo che ha cercato l’Amore e ha messo se stesso e la sua musica al Suo servizio. Naranjo ha ripercorso le tracce di questo percorso. A livello sottile, in una dimensione che non è quella nostra, abituale. Non c’e’ alcun dubbio che il Mozart che oggettivamente conosce lui e’ un 2.
    Per Ebert (un 1 a suo stesso dire), il rapporto con Mozart diventa, a livello interiore, profondo, con il suo se’ BAmbino, la parte più libera, piu’ innocente, più spontanea, non contaminata da nulla. Nel libro egli racconta di un sogno fatto da un teologo Karl Barth , anch’esso un 1. Questo BArth era ossessionato da Mozart, tanto da suonarlo ogni mattina, tanto da “sentirlo” moltissimo nella sua vita. In questo suo sogno Barth era stato nominato esaminatore di Mozart in teologia. Ma nel sogno Mozart non risponde nulla. Barth si rende conto, al risveglio, che nella sua vita avrebbe conseguito la salvezza non per la sua sapienza teologica, ma per il MOzart (l’innocenza, la spontaneita’, l’eros, il bambino libero e felice) che era dentro di lui. Anche Ebert alla fine del racconto dice che anche per lui stesso c’e’ dentro di sè un Mozart che lo salvera’.
    Non c’e’ quindi dubbio che il Mozart di Ebert e’ oggettivamente un 1. Con lui Ebert (oltre a Barth) entra interiormente in relazione e con lui fa un percorso di crescita personale.
    Spero di essere riuscito a spiegare perche’ sono certo che sia Ebert che Naranjo hanno oggettivamente ragione a vedere in Mozart un 7 e un 2.

    #4411 Risposta

    Utente Ospite

    Alla terz’ultima riga ovviamente volevo dire: “Non c’e’ dubbio che il Mozart di Ebert è oggettivamente un 2”. Scusate il refuso. Roberto Maieron

    #4412 Risposta

    Utente Ospite

    Sono fuori come un terrazzo!!! Volevo dire 7. 7 . 7 . Accidenti a me!!! Mannaggia!!!

    #4413 Risposta

    Marina Pierini

    ahahahaha a parte la confusione delle ultime battute Roberto, e al tuo scritto che come a volte capita quando scrive Atomo risulta stranamente contaminato da lettere che ne deformano visivamente il risultato… ho capito cosa dici, almeno mi auguro, ma non comprendo dove vuoi arrivare. Innanzitutto c’e’ una cosa su cui non concordo….tu dici “Dare realta’ a qualcosa significa crearla” ….leggendo quanto aggiungi in seguito e gli esempi che tu fai per spiegarti meglio io direi che sarebbe più esatto dire “dare realtà a qualcosa significa crearla dal MIO punto di vista”. Cerco di farti capire cosa intendo, usando un paio di esempi tuoi. Tu scrivi: Se io do’ realta’ all’idea che tutti ce l’hanno con me, OGGETTIVAMENTE trovero’ un sacco di gente che ce l’avra’ su con me. SE io do’ realta’ all’idea di essere una personalita’, un 5 un 4 o che altro, la mia vita OGGETTIVAMENTE mi confermera’ di avere e di essere quella personalita’.” Tu però Roberto dimentichi che quello che gli altri percepiscono di noi, sfugge al nostro controllo conscio, noi sappiamo ormai che c’e’ un universo incoscio che noi non possiamo gestire e che trapela nostro malgrado. Molto e molto spesso mi è capitato di notare assieme ad altri che una tale persona che “dice” di essere in un certo modo, in realtà sconfessa ciò che dice “facendo” esattamente l’opposto. Una volta confrontata quella persona sulla questione, lui o lei semplicemente nega che le cose stiano così senza dare alcuna spiegazione convincente e razionale del perchè dei suoi contraddittori. Dunque tu ometti una cosa fondamentale a mio avviso, cioè che se io mi sento perseguitato, nella mia vita OGGETTIVAMENTE PER ME …dunque SOGGETTIVAMENTE …io troverò riscontri di questa tale cosa. E’ dunque altrettanto vero che quando mi confronterò con altri, essi potranno non valutare le mie ragioni come OGGETTIVE ritenendole magari solo SOGGETTIVE. E’ per questo che nell’enneagramma quello che conta non è solo “l’immagine idealizzata del sè” cosa alla quale tutti attingiamo, ma anche la risposta dell’ambiente, in che maniera la realtà ESTERNA a noi e non gestibile CI RIMANDA quell’immagine rimodificata secondo le percezioni che non sono nostre. Tornando al tuo esempio sugli enneatipi, è accaduto spesso che vi siano state persone assolutamente convinte di essere un enneatipo x, ma era altrettanto oggettivo che tutti coloro i quali si confrontavano in termini di enneagramma giungevano più o meno alla stessa conclusione, quella persona sembrava comportarsi come un tipo y o comunque no come un tipo x. Il fatto di veder riflessa una faccia diversa da quella che credevano di avere, ha spinto alcune di queste persone a guardare meglio dentro di sè. Non di rado, questa specie di Sonar psichico ha fatto da detonatore, così da aprire lo sguardo di chi resisteva ad altre verità personali. Quando questo è accaduto c’e’ stata una differente reazione tra le sensazioni circa il primo riconoscimento e quello successivo. Dai loro racconti si è potuto evincere che qualcosa di profondo e pesante si è smosso nella coscienza dell’individuo tanto da modificare anche fisicamente alcune percezioni. Non voglio disperdermi in questo discorso, voglio solo dire che creare realtà significa dare alla luce qualcosa che è tale PER ME…e che quello che tu chiami oggettivo ai miei occhi è soggettivo. OGGETTIVO è che possiamo vedere due cose diverse in una stessa forma, in un medesimo stimolo, e questo conferma l’oggettiva SOGGETTIVITà delle nostre percezioni. Ricostruendo la il tuo esempio secondo quello che io intendo la tua frase dovrebbe essere rimodificata così: SE io do’ realta’ all’idea di essere una personalita’, un 5 un 4 o che altro, la mia vita SOGGETTIVAMENTE mi confermera’ di avere e di essere quella personalita’.” Dunque sia Ebert che Naranjo hanno ragioni SOGGETTIVE…(di conseguenza hanno plausibilmente torto entrambi)…che verrebbero magari confrontate dal diretto interessato qualora fosse ancora in vita. Detto questo non so dove andare adesso…perchè non ho capito la direzione del tuo discorso….e come sempre aspetto fiduciosa i tuoi chiarimenti 🙂 baci

    #4414 Risposta

    Marina Pierini

    scusa mi si sono accavallati dei periodi nelle ultime frasi ma spero che sia chiaro comunque il senso. Forse non mi sfugge quello che vuoi dire, ma semplicemente arriviamo a deduzioni analoghe partendo da soggettive realtà oggettive 🙂

    #4415 Risposta

    un atomo

    Io credo che Roberto volesse diore altro. Anche io aspetto conferme o chiarimenti. Ho la strana inquitante sensazione che Roberto si avvicini in contemporanea alle cose che io incontro. Quando parlava delle idee sacre io stavo leggendo Almaas e ora nei suoi discorsi sento riecheggiare un libro che sto leggendo di Marchesi. Sulla base di questa mia sensazione , che potrebbe essere falsa, intendo ciò che dice Roberto in modo differente da quanto percepito da Marina. Cioè io penso che lui intenda proprio dire che noi CREAIAMO la nostra realtà Oggettiva. Che le produciamo letteralmente con la nostra mente. Così, per seguire il vostro esempio, se ci sentiamo perseguitati, creiamo condiioni oggettive non di paranoia(che è soggettiva) ma di autentica persecuzione. Non voglio esprimermi sulle mie credenze in merito sono solo curiosa di sapere se ho capito quello che diceva Roberto e aggiungere che al di là di ciò che credo vero o falso in questa posizione Marchesi propone un vero e proprio metodo basato sui pensieri associativi. Vi assicuro che se c’è una cosa che schifo sono le ricette all’americana e le istruzioni facili di vita, però devo dire che io ne sto traendo giovamento evidente, nelle cose reali che succedono. Roberto sono curiosissima di conferme o smentite.

    #4416 Risposta

    Marina Pierini

    beh ma anche questo creare la realtà dipende da te…quindi è pur sempre qualcosa di soggettivo secondo me. Molto spesso si dice che bisogna avere un “pensiero positivo” circa le aspettative della nostra vita e che essere disfattisti, aspettarsi sempre il peggio, porsi in maniera negativa finirà con l’influenzare “realmente” gli eventi che ci riguarderanno. Penso sia vero, ma se questo dipende in una qualche misura da noi, è comunque soggettivo, anche se diviene reale per noi. Non ho mai inteso dire che la mia realtà solo perchè è soggettiva perde la consistenza di realtà. Intendo dire che non è oggettiva, che non tiene conto del riscontro degli altri e di quello che mi torna oppure no. Tutti noi di questo abbiamo bisogno, altrimenti se domani io fossi sinceramente certa che è l’ultimo giorno di vita x tutti, che è giunta la fine del mondo, la mia realtà sincera basterebbe a far impazzire di panico 9 miliardi di persone che data la mia veritiera convinzione non avrebbero motivo per considerarla una realtà solo mia, ma universale. Non so se mi spiego….

    #4417 Risposta

    Roberto Maieron

    E’ proprio come dici tu Atomo. Quello che intendevo dire e’ proprio che siamo noi a creare la nostra realta’ oggettiva. Trovo molto difficile spiegare con la mente qualcosa che si puo’ afferrare solo intuitivamente e non tramite dei ragionamenti , delle considerazioni o tramite delle citazioni di tizio o di caio
    (queste ultime le trovo orrende – benche’ a volte inevitabili – perche’ non sono altro che il solito osceno Principio di Autorita’ con cui gia’ lottava Galilei nel 1632). Per questo quando ho scritto “dare realta’ a qualcosa significa crearla” ti ho invitato, Marina, a non pensarci sopra, a non intellettualizzare. Questa cosa, che sto dicendo, a livello razionale non si puo’ comprendere. Ora cerchero’ di darle un orientamento di tipo razionale/mentale ma … è sbagliato. La conoscenza è solo esperienza intuitiva e non altro.
    Ok, vado. C’e’ un primo livello di “oggettivizzazione” di cui tu hai gia’ parlato Marina, che è quello di chi vive in un suo universo (come fa ogni enneatipo ed ogni persona)e proietta nello schermo della sua vita un bel film e crede che tutto quello che appartiene alla sua dimensione mentale sia reale ed oggettivo. E per lui rimarra’ tale anche a dispetto di quello che tutti gli altri dicono. E cosi’ un paranoide vedra’ minacce e complotti dappertutto e l’atteggiamento degli altri che lo negano ai suoi occhi acquista addirittura prova che minacce e complotti nei suoi confronti sono reali. C’e’ poi un secondo livello di “oggettivizzazione”, verificabile da tutti e non solo da parte della persona che la vive: per esempio un individuo potrebbe nell’arco della sua vita fare molti incidenti, in bicicletta, in moto, cadendo dalle scale. L’iteratività di certe situazioni sono sicuramente il risultato di alcune credenze molto forti, che diventano reali: chi patisce continuamente dei furti, chi subisce continuamente degli abbandoni affettivi. Ma possono anche non essere disgrazie: chi non ha problemi ad acquisire una ricchezza gia’ posseduta un tempo e poi perduta, chi vince malattie considerate letali, ecc. Ci sono negli individui delle credenze cosi’ forti quasi sempre inconsce che li portano ad agire e a vivere in modo tale che creano le condizioni perche’ le loro credenze diventino realtà effettiva.
    Cosi’ uno che è profondamente convinto di essere “sfortunato” avra’ nella vita tutta una serie di disgrazie. A ben vedere se le sara’ cercate tutte, ma proprio tutte, solo che da solo non potra’ mai vederlo.
    C’è’ poi un terzo livello di oggettivizzazione , che e’ quello cui mi riferivo io
    con la frase “dare realtà a qualcosa significa crearla”. Per meglio dare una direzione al senso di questa frase sono costretto a valutare il termine “oggettivo”. Esiste qualcosa di “oggettivo”? Si’ e No. Se io e te Marina ci troviamo di fronte ad una sedia entrambi riconosciamo che e’ una sedia.
    Ma, benche’ d’accordo sul termine, in realta’ vediamo due cose diverse.
    Il riconoscimento della sedia è legato alla memoria e all’esperienza. Queste sono individuali. Innanzi tutto noi non vediamo la sedia come realmente è, ma la vediamo nella sua funzionalità, quindi gia’ la “interpretiamo” e la viviamo in maniera soggettiva. Per fare un altro esempio piu’ facile, se ci troviamo di fronte ad una montagna di merda e – a fianco – una montagna di monete d’oro, non guardiamo le cose nella loro oggettività, ma nella loro significanza e nella loro funzionalità.
    Di piu’. La mia esperienza e la mia memoria – oltre all’interferenza dell’enneatipo – mi portano inconsciamente ad associare a quell’oggetto , a quell’immagine e a quella parola migliaia di altre situazioni, di altre significanze e di altri valori. Potrei dire “sedia” al pari di te e associarla
    alla solitudine, all’abbandono , alla paura, senza nemmeno rendermene conto. Tu potresti dire “sedia” e associarla inconsciamente all’autorità, alla severità, alla vergogna e neppure rendertene conto. Tutto questo mondo “oggettivo” carico delle nostre credenze, delle nostre significanze, della nostra interiorita’, delle nostre propriezioni, delle nostre emozioni, delle nostre sensazioni, delle nostre esperienze di oggettivo non ha poi molto , non credete? Di oggettivo non c’e’ nulla, proprio nulla. Non esiste una verita’. Anche la Storia, che io insegno a scuola, in realta’ è “interpretazione storica”. E’ la premessa a qualsiasi corso di storia: la storia non esiste, esiste solo l’interpretazione storica”. Cosi’ l’oggettività: l’oggettività non esiste, esiste l’interpretazione oggettiva.
    Anche per le Leggi scientifiche è la stessa cosa. Ora non mi ricordo quale splendida mente umana nei primi anni del 900 lo abbia mirabilmente dimostrato, ma a quanto pare anche le Leggi scientifiche non sono altro che “interpretazioni oggettive” . Ossia interpretazioni che acquistano oggettività proprio per essere un’interpretazione. Ossia, detto in modo molto piu’ semplice, non e’ vero che l’uomo “scopre” le leggi naturali preesistenti, ma è vero il contrario, ossia che l’uomo “inventa ” leggi scientifiche per dare un senso ed un oggettività ad una realta’ che non è in effetti comprensibile.
    Anche l’enneagramma: è un sistema di classificazione e di interpretazione umano, che ha valore come interpretazione oggettiva e non costituisce mera oggettività.
    E, con queste premesse, veniamo ora a quanto dicevo su Mozart. Mozart e’ un 2 come dice Naranjo, un 7 come dice Ebert, un 3 , un 6 o cos’altro? Mozart avrebbe potuto dire che egli era un 4! Si sbagliava? Esiste una realta’ oggettiva nella quale Mozart è certamente infallibilmente un determinato enneatipo? No. Non è possibile. Mozart diventa come la sedia che vediamo: quello che gli associamo vicino. Ed e’ realmente cosi’.
    Naranjo lo “vede” come due e giustifica tutta la sua vita da due. Ebert lo “vede” come un 7 e interpreta tutta la musica e la vita come un 7.
    Ognuno proietta la propria visione oggettiva e , dato che la credenza è molto forte, Mozart diventa sia un 2 che un 7, E come tale vive nelle vite di Naranjo e di Ebert. Diventa una guida per l’amore mariano per Naranjio,
    un simbolo di leggerezza, di eros e di spontaneità istintiva per Ebert.
    Mozart 2 è cosi’ reale nella vita di Naranjo ! Mozart 7 entra nei sogni di Ebert e sembra indicargli una strada! La relazione tra Mozart e naranjo/Ebert diventa una relazione molto profonda, che va al di la’ dei tempi e dell’ordinarieta’. Entrambi sono sulle tracce di un MOzart che realmente vive dentro di loro. Ed egli insegna ad entrambi.
    Mi verrebbe ora da dire moltissime altre cose ma rischio di andare fuori dal seminato. Voglio solo aggiungere una cosa, un punto cui volevo arrivare, una direzione al mio discorso, come mi chiedi tu, Marina.
    Alcuni mesi fa, dopo due anni di enneagramma, di lezioni, di letture, di confronti esperienziali, ecc. una mia allieva di 18 anni mi dice: “Sa, prof.,
    da quando ho scoperto di essere un due mi sembra di essere diventata ancora piu’ due. Ma questo accade perche’ divento sempre piu’ cosciente dei miei automatismi e del mio modo di essere o perche’ in qualche modo la convinzione di essere un due interferisce nei miei comportamenti?”.
    MA che bella domanda. Ma che bella domanda.
    So che non sono riuscito a spiegarmi. Ma mi mancano veramente le parole. Un bacione a entrambe carissime.

    #4418 Risposta

    un atomo

    Grazie Roberto. Non solo per ciò che hai detto e che condivido totalmente ma anche per come lo hai fatto con molta generosità e passione . Io credo ti sia spiegato molto bene ma seppure potevano residuare dei dubbi la domanda della tua allieva basta assolutamente da sola a illuminare tutto quanto detto prima. Ed è davvero una bella domanda. Che dovremmo forse avere la forza di estendere a molti eventi della nostra vita forse questo ci donerebbe una comprensione molto più profonda di tanti percorsi e ci guiderebbe credo anche in una strada di autentico cambiamento e trasformazione. Perchè accettare che la realtà la creiamo significa accettare il potere e la responsabilità di trasformarla.

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