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UN’ANALISI DEL TIPO DUE ATTRAVERSO LA FIGURA E L’OPERA DI GIOVANNI PASCOLI

UN’ANALISI DEL TIPO DUE ATTRAVERSO LA FIGURA E L’OPERA DI GIOVANNI PASCOLI


GIOVANNI PASCOLI Un Fanciullino Orgoglioso

Di CRISTIANA GIRARDI

E’ dentro di noi un fanciullino che non solo ha brividi…ma lagrime ancora e tripudi suoi. Quando la nostra età è tuttavia tenera, egli confonde la sua voce con la nostra…Ma quindi noi cresciamo ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena maraviglia.”

Non è forse il fanciullino la prima cosa a cui pensiamo quando parliamo di Pascoli? D’altro canto è lui stesso a dichiararlo: il poeta coincide con il fanciullino, ovvero con quella parte infantile dell’uomo che negli adulti tende a essere soffocata e che, invece, nei poeti trova libera espressione. Il fanciullino vede ciò che in genere passa inosservato allo sguardo dell’adulto. Attraverso vie intuitive e percezioni non razionali egli individua accordi segreti tra le cose, stabilendo tra esse legami inediti e inconsueti.

Umiltà e Privilegio si combinano insieme nel fanciullino: da un lato egli è presente potenzialmente in ogni uomo, è una figura umile e piccola, che sembra porsi in alternativa al superuomo di dannunziana memoria; dall’altro solo il poeta conosce il privilegio di farlo rivivere e di farlo parlare dentro di sé, sapendo scorgere il significato profondo di quelle piccole cose che l’adulto normale invece trascura. Il fanciullino insomma ha in sé una vocazione alla superiorità, un destino di elezione che può indurre Pascoli a diventare poeta-vate in concorrenza con D’Annunzio, suo contemporaneo.

La poetica del fanciullino è una dichiarazione di raffinata superiorità e di libertà che il poeta mostra al mondo riferendosi a se stesso.

Pascoli insieme a D’Annunzio (un tipo Sette) è il rappresentante più significativo del decadentismo italiano. La complementarietà del simbolismo pascoliano con quello d’annunziano è già un indizio per l’individuazione dei tratti tipologici che tenterò di fare con la sua personalità. Entrambi tendono al sublime e aspirano a un ruolo di vate. D’Annunzio dà scandalo, suscita fanatismi, crea miti, Pascoli invece resta legato alla tradizione.

Ma chi era Giovanni Pascoli?

Egli nacque in un paesino della Romagna nel 1855. Ebbe un’infanzia agiata, quarto di dieci figli. Un giorno però il padre, che amministrava una tenuta dei principi di Torlonia, venne ucciso mentre tornava a casa in calesse. Il futuro poeta aveva soltanto 12 anni e questo lutto improvviso, a cui seguirono la perdita della madre e di due suoi fratelli poco dopo, lo segnarono nel carattere e nelle scelte future.

Studiò grazie ad una borsa di studio, laureandosi in letteratura greca quando già era morto anche il suo fratello maggiore, diventando così capofamiglia a soli 20 anni circa. Esclusa dalla propria vita ogni relazione sentimentale Pascoli puntò alla ricostruzione del nucleo familiare paterno: andò a vivere in Toscana assieme alle due sorelle Ida e Maria, fatte richiamare dal convento.

Sospettoso e ossessionato dalla gelosia verso di loro, visse con angoscia il matrimonio di Ida, contratto senza la sua volontà, e finì col legarsi morbosamente a Maria. Su questo legame non convenzionale tra Pascoli e le due sue sorelle c’è stato chi ha elaborato delle ipotesi, abbastanza credibili, che ne interpretano le scelte di vita alla luce di un conflitto edipico non risolto.

Accanto alla gelosa custodia degli affetti familiari, Pascoli trovava posto solo per l’insegnamento e la poesia.

Poco prima di morire a 57 anni egli pronunciò il discorso La grande Proletaria si è mossa, volto a sostenere l’impresa coloniale italiana. Lo scrittore, che voleva dare un’immagine sociale di sé come artista raffinato e popolare al tempo stesso, raffigurandosi quale poeta della bontà e dell’umiltà, concluse così la propria vita con un invito a gettarsi in un’avventura militare in Libia.

Una posizione difficile da conciliare con quella immagine, se non fosse che il poeta presentò la guerra come un’esigenza necessaria per la sopravvivenza dei cittadini italiani, che per sfuggire alla miseria erano costretti ad emigrare oltralpe.

Il tentativo di presentare la campagna in Libia come una guerra difensiva e non di attacco, unica modalità accettabile per i socialisti, ignorava completamente il fatto che i libici avessero diritto all’autodeterminazione. Inoltre, l’inerzia e l’arretratezza delle popolazioni locali autorizzavano, a suo avviso, un intervento civilizzatore degli italiani, portatori di cultura e progresso.

Questo atteggiamento di Pascoli, se letto alla luce delle conoscenze che l’enneagramma ci offre, è un indizio importante per l’identificazione caratteriale del poeta. Qui, infatti, è possibile ipotizzare che ci si trovi di fronte a un tentativo di negazione e di distorsione della realtà; i meccanismi di difesa primari e secondari specifici di un certo tipo di personalità, ai quali si aggiunge uno stile comunicativo basato su una forte propensione alla manipolazione dei fatti, nel tentativo di far passare per buona la propria tesi.

Tra le testimonianze scritte che Pascoli ci ha lasciato, e che ritengo utili per l’individuazione della sua tipologia caratteriale, annovero anche una frase emblematica che egli scrisse nel suo “ALEXANDROS”, poema conviviale del 1895. Qui il poeta fa dire, a un Alessandro Magno moribondo, la seguente frase: “il sogno è l’infinita ombra del vero”.

Perché è importante sottolineare questo pensiero? Perché Pascoli esprime con essa una concezione irrazionalistica della verità, affermando che per giungere ad essa non bisogna affidarsi alla scienza ma all’immaginazione.

L’immaginazione, dando un indizio sfumato e allusivo della realtà, ne ingrandisce i confini, spingendo l’animo umano a uno slancio illimitato verso il vero, inteso come verità soggettiva.

In queste considerazioni ci sono, secondo me, tutte le caratteristiche tipiche della personalità a cui appartiene Pascoli e che lo collocano chiaramente in uno dei tre centri dominanti dell’enneagramma: quello dell’emozione. In esso collochiamo coloro che tendono a dare molta importanza a ciò che accade a se stessi in termini emozionali, evitando di indugiare sulle implicazioni mentali o morali delle proprie scelte di vita.

Nella critica che Ferroni fa al Pascoli troviamo traccia di questo soggettivismo accompagnato da una chiusura in sé. Questi tratti sono ascrivibili a ciò che Antonio Barbato definisce come Alibi e che per la tipologia a cui ritengo appartenesse il poeta è racchiusa in questo pensiero: l’insensibilità altrui è motivo di difesa e di attacco assieme.

Quando, infatti, gli veniva mossa qualche critica egli reagiva inizialmente vittimisticamente, lagnandosi e pregando di essere ascoltato, ma poi, in nome di presunte ingiustizie subite e di meriti ignorati, attaccava recriminando e rivendicando (Ferroni). Il soggettivismo del poeta si esprimeva anche nella difficoltà di fare una analisi non emotivamente coinvolta.

Così quando si misurava con mondi diversi dal proprio si vedeva la tendenza di Pascoli ad appiattirli su di sé. E’ esemplare il caso di Leopardi, rimproverato per aver commesso una imprecisione botanico-stagionale nel Sabato del Villaggio (il “mazzolin di rose e viole”) e liquidato con l’appellativo di“ divin fanciullo”. In questa manifestazione è possibile intravvedere anche la modalità aggressiva che secondo Antonio Barbato guida gli appartenenti al suo stesso enneatipo: l’Impertinenza.

Infine ma non ultimo un accenno ad un aspetto vitale che nelle opere, e con grossa probabilità anche nella sua vita privata, viene negato o mai esplicitamente menzionato: l’amore inteso come interesse maturo nei confronti delle donne. Poco e niente sappiamo sulle donne che ha amato Pascoli ma, dall’attaccamento del poeta al nido familiare, è possibile dedurre che non furono molte e che in almeno due occasioni ci siano stati dei bruschi interventi delle sorelle, atti a troncare ogni eccessivo coinvolgimento del poeta con donne estranee.

E’ stato sorprendente per me lavorare su questo aspetto della personalità del poeta, esaminato dalla critica psicoanalitica. Non conoscevo infatti le indagini effettuate dallo psichiatra e neurologo Vittorino Andreoli e riportate nel suo libro I Segreti di Casa Pascoli, dopo aver letto l’intero corpus pascoliano attraverso questo filtro.

Schizzi e lettere, che esprimono sentimenti morbosi, sono diventati per Andreoli la base di partenza delle sue ipotesi a cui ha poi collegato, non senza qualche forzatura, le produzioni letterarie del poeta. Lo psicologo ha unito all’analisi, basata su una ricerca oggettiva negli archivi, un’interpretazione psicologica della sua storia familiare; e partendo dall’esame di alcuni interessantissimi documenti e arrivato all’ipotesi dell’incesto, non suffragata però né da testimonianze né da prove.

Andreoli sostiene che Pascoli avesse una personalità con caratteristiche infantili e con un conflitto di tipo edipico non risolto (era, cioè, innamorato della madre). Secondo l’autore infatti dopo la morte del padre si sarebbe insinuata nel poeta l’idea di prenderne il posto. Tale pensiero non ebbe però modo di concretizzarsi perché la madre pochi anni dopo morì anch’essa. I fratelli si allontanarono, mantenendo col poeta pessimi rapporti. Non allo stesso modo andò con le altre due sorelle, Marilù e Ida.

Marilù era una donna bassina e minuta, dai connotati di bambina e dal carattere nevrotico e isterico che Pascoli vedeva come una figura eterea e mitizzata. Ida, più piccola rispetto alla sorella di due anni e al fratello di otto, aveva invece una corporatura materna e femminile, forme procaci e una certa vitalità. Secondo l’autore fu con quest’ultima che Pascoli ebbe il rapporto più morboso, proprio perché quelle fattezze fisiche la rendevano ai suoi occhi più simile alla madre o la sua stessa reincarnazione. Madre verso cui, come ho già detto. probabilmente Pascoli aveva provato un senso di attrazione che successivamente riversò sulla sorella.

Andreoli individua addirittura nell’anno 1895 il momento in cui ci sarebbe stato un amplesso tra i due, dopo il quale Ida si sposò frettolosamente, allontanandosi definitivamente dal nido pascoliano. L’autore ipotizza che Maria si sia accorta che Ida e Giovanni stavano per varcare, o avevano già varcato, i confini leciti di un amore fraterno e abbia voluto riequilibrare il nucleo familiare espellendo Ida, destinata per la propria femminilità prepotente a diventare moglie e madre (cosa che l’asessuata Maria non sentirà mai il bisogno di fare).

L’attaccamento di Pascoli alle due sorelle si può spiegare, secondo l’autore, col fatto che Pascoli avesse in qualche modo bisogno di loro perché così poteva dare una forma di legittimità al proprio sentimento di padre che amava la madre. Ricreando la vecchia famiglia, Pascoli poteva diventare in tutto e per tutto il padre, Ida la madre e Maria, per i suoi capricci, dispetti e comportamenti egoistici, la figlia di elezione dell’anomala coppia.

Logica conseguenza di una tale ipotesi è il fatto che il matrimonio di Ida avesse sconvolto Pascoli così tanto da segnarlo per sempre. In una lettera disperata a Maria egli scrisse: ”io amo profondamente, angosciosamente, la mia famigliola che da 13 anni virtualmente mi sono fatta e che ora si disfà per sempre”. Per il poeta fu l’inizio della sua parabola discendente…si diede al vino, degradandosi e isolandosi in compagnia della sua soffocante sorella Maria, fino alla morte, di cirrosi epatica nel 1912.

Il medico tuttavia, forse per un atto di riverenza verso il poeta, scrisse che si trattò di tumore. Maria, gelosa custode delle sue memorie, carbonizzò ogni lettera compromettente, ogni riferimento alle debolezze dell’uomo, per eternare la memoria dell’artista, mantenendone un’immagine dignitosa e positiva, e diventando una sorta di “deus ex machina” della vita del poeta.

Al di là di ciò che Andreoli ha scritto nel suo libro va detto che, dal punto di vista della produzione letteraria, sono pochi gli esempi nei quali il poeta affronti il tema della sessualità.

Uno di questi è il “Il gelsomino notturno”. Il componimento infatti fu scritto in occasione della nascita del figlio di un amico del poeta e il tema dell’accoppiamento e della riproduzione vennero trattati dietro con un sottile strato di mistero e di simbolismo.

E’ possibile immaginare, quindi, che per Pascoli i rapporti sessuali fossero atti peccaminosi, da vivere con repulsione. Anche in “Digitale Purpurea” si può notare come il poeta, attraverso il dialogo tra la sua sorella (Mariù) e una sua amica, Rachele, contrapponga la purezza della prima (vista come colei che è capace di controllarsi) al peccato della seconda (vista come incapace di resistere alle tentazioni amorose).

L’immagine femminile dominante della poetica pascoliana è la madre; la donna e l’amore sono un fantasma, rimosso dal rifiuto di accedere a un rapporto maturo con il mondo esterno e in generale ella viene sempre vista come oggetto di attrazione e insieme di paura. La poesia “Colloquio” ( in Myricae) è una sconcertante confessione dell’incapacità del poeta di affrontare la vita da solo e senza la madre, la cui perdita è rimasta un lutto irrisarcibile, una ferita che gli impedisce di vivere una vita autonoma.

Poiché la madre è anche il simbolo dell’amore negato, che mina alla radice ogni altra tensione erotica, accade che il poeta sacrifichi se stesso ad un passato irrevocabile, alla non vita. Nell’enneagramma la portata di un tale trauma è pienamente spiegata con la parola “Abbandono”, che Antonio Barbato ritiene essere la Ferita Originaria e la radice primaria in cui sostanzia la passione dell’enneatipo Due.

Nei bambini del tipo Due è possibile infatti notare un atteggiamento che potremmo definire edipico, se non fosse che questo termine rimanda a una patologia più che a una posizione di quasi normalità e che, quindi, non possa del tutto essere applicata al campo di nostro interesse.

Da questo punto di vista è possibile sostenere l’ipotesi che il bambino Pascoli abbia sviluppato inizialmente una competizione col padre, la cui morte ha però causato quel senso di colpa che un bambino Due può aver provato, per aver visto concretizzarsi il proprio desiderio inespresso.

Tale senso di colpa è stato, probabilmente, aggravato anche dalla perdita ravvicinata della madre. La colpevolizzazione inconscia per l’abbandono prematuro ha definitivamente bloccato la risoluzione del conflitto edipico nel giovane Pascoli, la cui sensibilità ed energia si sono poi definitivamente fissate nella passione dell’Orgoglio e nel sottotipo Privilegio. In questo modo (e caricando di importanza e di valore colui che sa ascoltare e dare voce al fanciullino interiore), egli riuscì a negare le sue carenze e il bisogno di un amore maturo e vivo.

Riassumo brevemente gli elementi che alla luce dei tratti da me raccolti portano ad associare la personalità di Pascoli al tipo Due:

  1. Il suo stile comunicativo soggettivo e non appariscente, che però ambisce al riconoscimento e al prestigio sociale,
  2. L’aspettarsi di ricevere attenzione per qualcosa che lui è (egli, infatti, è colui che più di tutti è capace di dare voce al fanciullino interiore).
  3. Il Privilegio, ravvisato sia in quest’ultima pretesa poetica che in quelle della vita reale, col tentativo di ricreare il nido della sua infanzia perduta.
  4. La pretesa di vantaggi di favore che egli richiede sia alla società, che gli deve riconoscere il ruolo di vate, sia alle sorelle, ricoprendo presuntuosamente un ruolo familiare che non gli compete.
  5. Una grande, smisurata, opinione delle proprie qualità che lo porta ad avere un gran senso di sé (sono importante e voi non potete fare a meno di me).
  6. Il percepirsi, e il voler essere percepito dagli altri come una persona molto buona e di aiuto.
  7. La manipolazione della verità sulla guerra coloniale in nome di un qualche principio di presunta superiorità.
  8. La spontaneità emotiva, che trova appiglio e fondamento nel fanciullino e che si richiama più generalmente a quella che tutti i Due amano vedere nei bambini, la cui presenza viene cercata poiché essi non possono rappresentare una minaccia alla propria libertà, e contemporaneamente rappresentano degli esseri non condizionati dalla società ma bisognosi di aiuto e di attenzione da parte degli adulti.

Ho ritenuto molto interessante approfondire la radice passionale di Pascoli, alla luce delle conoscenze dell’enneagramma, perché attraverso questa lente è possibile comprendere più chiaramente l’aspetto tendenzialmente edipico che nell’EdT si ascrive prettamente al tipo Due, alla cui tipologia caratteriale appartengo anch’io.

Ho potuto riscontrare, in questo modo, un tratto simile nel mio desiderio infantile di avere mio padre tutto per me e di quanto ciò mi abbia posto, inevitabilmente, in competizione con mia madre, vista sia come modello da imitare che come persona con cui competere per l’amore di mio padre.

Una persona che si identifica col tipo Due normalmente afferma di avere avuto i propri genitori vicini durante una parte della propria vita, una parte sufficiente a incanalare certi tratti verso una direzione sana anche se è possibile ritrovarne le tracce originali come si trova una filigrana in una banconota, se essa è osservata in controluce.

Tutti i Due che ho conosciuto nella mia esperienza di studio dell’enneagramma, raccontano della propria infanzia di essere stati considerati come “la fidanzatina di papà “o “l’uomo di casa”.

Il mio conflitto edipico è stato superato perché semplicemente e del tutto casualmente ho avuto il tempo per maturare e sono cresciuta in un contesto sano.

Indagare su questo aspetto dell’ Orgoglio mi ha ricordato il compito che attende anche me, e che spesso l’osservatore esterno nota più facilmente osservando i Due nelle loro dinamiche familiari: l’importanza di trovare quel corretto posizionamento che ci consenta di vederci per quello che siamo; figli e non pari o sostituti del genitore modello per la conquista del genitore sfuggente.

Perché per un Due rispettare questa naturale posizione subordinata è molto faticoso è presto detto. Bisogna infatti accettare di ricevere solo quella normale attenzione che di solito si da a un figlio in quanto tale. Non essere sovraccaricati di un’importanza deformante, che lo pone come un adulto tra i suoi pari o su una sorta di piedistallo, può liberare la personalità dell’Orgoglio dal fardello che lo porta a negare le proprie carenze e desideri inespressi.

Guardare finalmente con compassione a quegli aspetti del sé, che in un momento di profonda vergogna infantile si sono mal celati con la Negazione e la Distorsione, è uno dei compiti più importanti che un Due deve fare per compiere il cammino di maturazione interiore e spezzare le dolorose catene che bloccano la sua personalità.

In ogni caso, tornando a Pascoli, di una cosa sono sicura: nessuna delle ipotesi qui citate, per quanto affascinanti, potranno mai togliere o scalfire la bellezza dei suoi versi e l’originalità della sua produzione. Chiunque provi a dar voce al proprio mondo interiore sa che tale lavoro non può prescindere dal saper ascoltare la voce del bambino interiore, le cui reazioni di intenso stupore per le piccole cose, vorremmo tutti imparare a preservare. 

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